Il ritratto di Dante di Andrea del Castagno (Firenze, Uffizi) dopo il restauro, presentato giovedì 18 marzo ed eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure - -
Anticipiamo alcuni stralci della prefazione di Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, al nuovo libro di Massimo Naro, docente di Teologia sistematica nella Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo, Alta fantasia. L’altra teologia di Dante Alighieri (Scholé-Società Dante Alighieri, pagine 136, euro 12,00; illustrazioni di Ernesto Lamagna). L’«alta fantasia» è la teologia poetica di Dante, la cifra della sua eccellenza rispetto alla Scolastica medievale, la “terza teologia” tra platonismo monastico e aristotelismo universitario. Una teologia laica, trasversale alle diverse correnti dell’epoca.
Compito di un prefatore è invitare alla lettura. Non riassumere l’opera, anche perché un lavoro come questo di Massimo Naro sarebbe sprecato in una sintesi. L’autore condensa in poche pagine un lievitare di pensiero originale, portando il discorso dell’Itinerarium mentis in Deum a sviluppi nuovi nel contesto storico- esegetico della Divina Commedia. Voglio solo affermare l’interesse della Società Dante Alighieri per questo studio, che noi presentiamo come uno dei nostri contributi alla “festa” di Dante che stiamo celebrando. Altri saranno d’altro genere, perché tra lo studio di Dante e l’insegnamento della lingua italiana esiste un ininterrotto legame, che la nostra Società vuole manifestare mettendo a disposizione per il 2021 una piattaforma digitale (Danteglobal) per l’apprendimento della lingua, la formazione degli insegnanti e per una sintesi dei grandi temi della cultura italiana. [...]
Si chiede Naro: «Che tipo di teologo fu Dante, se lo fu? A quali delle scuole teologiche medievali apparteneva? Come intese la teologia della sua epoca e come propose quella che possiamo considerare la sua personale teologia?». Questi interrogativi sono una sorta di sfida (piuttosto ardua, dati i tempi di rivisitazioni talvolta azzardate). Non intendo entrare nella discussione per giungere a una conclusione che sarebbe limitata se posta in confronto con la messe di riflessioni e intuizioni che alimentano una lettura originale, come questo libro che propone una terza via di apertura al concetto di Dante teologo. [...]
Sant’Agostino offre a Dante l’idea della bontà dell’istituto politico; san Bonaventura da Bagnoregio il misticismo francescano di cui è impregnato l’intero «poema sacro »; san Tommaso la struttura teologica. E su questo punto, divenuto vexata quaestio, ci sembra di dover guardare con particolare attenzione. Ha scritto Giorgio Petrocchi, che ancora ricordo ai tempi del suo insegnamento: «Dante inserisce il suo bisogno di Dio nell’organismo teologico della dottrina di san Tommaso d’Aquino». Ma una corrente di studiosi cerca di sostenere che l’Alighieri si è preso alcune libertà nel suo procedimento speculativo, ad esempio Giuseppe Prezzolini (per citarne uno significativo), il quale – e qui bisogna ammettere la sua estrema onestà intellettuale – sottolinea che «l’appassionata riverenza per i valori umani» fa di Dante talvolta un teologo auto- nomo, ma ribadisce un fatto indiscutibile e fondamentale: «Dante è, in ultima analisi, sempre ortodosso ». [...]
Voglio toccare il punto nevralgico del più difficile argomento di cui la Commedia s’intride: il rapporto tra fede e ragione, innestato da una ulteriore dimensione, l’amore, capace di configurare un inedito profilo epistemologico della teologia, tanto da dar adito a una scientia amoris propria di Dante, che si affianca alla scientia fidei dei teologi scolastici a lui coevi. Anticipiamo così un’idea ricorrente nel testo: si tratta della teologia poetica, l’«altra teologia» dantesca. Ma il Poeta è, al suo tempo, pieno di sottigliezze prescolastiche e scolastiche. Non è facile districarsi. Dante, fin dalla giovinezza, si trova immerso dentro l’immenso dibattito teologico-filosofico della Scolastica, per cui il tema religioso è il principale fra i tanti che compongono il viaggio escatologico, che diviene così una geniale summa del sapere e del sentire cristiano. La solida impalcatura tomistica della Commedia ha radici negli studi di Dante presso i domenicani di Santa Maria Novella, ma il Poeta ebbe dimestichezza con autori “nuovi”, come Sigieri di Brabante, che egli pone con coraggio nella ghirlanda dei beati in Paradiso, nel XII canto, vicino a san Tommaso, il quale aveva però vergato contro di lui pagine dure nel De unitate intellectus. È necessario citare quali pensieri avesse assimilato Dante, insieme a quelli del maggior filosofo della Scolastica. Va citato Anselmo d’Aosta (il primo che afferma la necessità della “ricerca”, in pieno Medioevo), Giovanni Crisostomo, Ugo da San Vittore e la grande figura di Gioacchino da Fiore che molto deve aver influenzato la visione profetica di Dante. Ma Anselmo, nel Proslogion, scriveva: « Credo ut intelligam ». Insomma, il rapporto fede-ragione ha dato il destro a tanti filosofi precedenti all’Alighieri per trovare un accordo e ai commentatori posteriori per ricavare la sostanza della teologia dantesca. [...]
Insomma, per giungere a Dio e comprenderne il mistero, basta la ragione oppure ci vuole la fede? O entrambe? Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio ha scritto: «Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione». Per non andare per le lunghe, anche Dante diceva press’a poco le stesse cose: la fede suppone e perfeziona la ragione. Il terzo canto del Purgatorio parla chiaro su questo rapporto. Ma la sintesi indicata da Naro è la fusione di questi due termini (che taluni hanno voluto contrapporre e ridurre a elementi inconcialiabili) nella verità poetica: il superamento di una battaglia senza vincitori né vinti, che solo Dante ha saputo trovare. È doveroso dichiarare che il procedimento logico-narrativo di Massimo Naro è stringente, limpido pur nella difficoltà della materia, fruibile per le sue atmosfere ispirate ancorché ricchissime di riferimenti: una cultura non declamata, bensì fusa nelle intuizioni nuove che l’esame della Commedia offre in una lettura senza pregiudizi e senza le smanie di iperboli esegetiche di cui sono pieni i nostri tempi. [...]
Se la teologia è uscita – o è stata fatta uscire – dall’Università italiana e, in un certo senso, dalla cultura, teologi come Naro mostrano che non solo non si capisce il passato e il panorama italiano senza teologia, ma anche fare cultura oggi ha bisogno di misurarsi con queste dimensioni. E anche la teologia, avulsa da tutto il resto e ristretta in un orizzonte ecclesiastico, risulta poco illuminante e scarsa di visione.