Lo scrittore Jonas Hassen Khemiri
Insignito dell’Augustpriset, il più prestigioso premio letterario svedese, lodato da scrittori di tutto il mondo – da Joyce Carol Oates ad Herman Koch –, Jonas Hassen Khemiri con il romanzo Tutto quello che non ricordo( Iperborea, pp. 332, euro 17,50) è stato scelto per aprire, il 2 febbraio alle 18 al teatro Franco Parenti di Milano, il festival «I Boreali», importante kermesse culturale dedicata al Nord Europa. Nato nel 1978 a Stoccolma da padre tunisino e madre svedese, Khemiri ha già al suo attivo quattro romanzi e diversi testi teatrali che lo hanno fatto emergere come uno degli scrittori più interessanti della sua generazione. Questo nuovo libro ha la struttura di un’inchiesta condotta dall’autore stesso in veste di personaggio per appurare la verità sulla tragica morte, in un incidente di macchina che potrebbe essere un suicidio, del giovane Samuel. Dai ricordi del migliore amico, dell’ex fidanzata, dell’amica del cuore, non sempre coerenti perché ciascuno ha in mente un 'suo' Samuel, emerge il ritratto di una generazione confusa e vulnerabile di fronte agli agguati della realtà quotidiana . Arrivato alla fine delle sue interviste, Khemiri sconcerta i lettori rivelando che forse non è di Samuel che ha voluto parlare, ma di un certo E.
Lo spunto per il romanzo arriva quindi da una storia vera, da una sua esperienza personale?
«È così. In realtà non credo sia davvero possibile nascondersi in un romanzo: la tua vita finisce sempre per filtrare nella scrittura. Un mio caro amico è morto e sono rimasto colpito dal modo in cui, tutti noi che ne portavamo il lutto, ci impegnavamo a difendere la nostra versione dell’accaduto. Continuavamo a ricordare a noi stessi le cose che potevano liberarci dal senso di colpa, un’interpretazione della verità che potesse convincerci che non avremmo potuto fare altrimenti. Questo aspetto viene richiamato nel romanzo, quando le diverse voci forniscono la propria versione attorno al protagonista Samuel. Si comprende chi sono i diversi personaggi attraverso quello che ricordano, e forse soprattutto attraverso quello che cercano disperatamente di dimenticare».
La memoria, con le sue falle e le sue illusioni, è il tema centrale del romanzo?
«Questo romanzo è un tentativo di catturare il modo in cui io ricordo effettivamente le cose. Come Samuel, non ho mai considerato la memoria un affidabile narratore. Ricordo per frammenti, spesso nella mia mente borbottano voci senza nome che insistono a dire che le cose in realtà sono andate diversamente. In questo romanzo sono riuscito a invitare quelle voci per ricreare la figura di Samuel».
Samuel vuole farsi una «Banca delle Esperienze » perché è assetato di significati?
«Lui è alla ricerca disperata di un’esperienza che abbia la possibilità di essere eterna, qualcosa che gli sopravviva. Perciò è così affascinato dalla propria memoria, e da quella degli altri. È tormentato dal pensiero di che cosa resterà delle sue esperienze quotidiane: succede anche a me, Samuel potrei essere io, se non domassi la mia paura con le parole, se non avessi scoperto la scrittura».
In questo testo tutto a dialoghi lei sembra unire i suoi due generi preferiti, narrativa e teatro.
«Per me è sempre scrittura. Quando scrivo per il teatro posso permettermi il lusso di chiudere un gruppo di persone in uno spazio ristretto e di controllare la velocità del testo, mettere le mie parole dentro a veri corpi. Nei romanzi ho il vantaggio di lasciare al lettore più libertà di riempire le parole con la sua immaginazione. E le parole scritte su una pagina tendono ad essere più durature di quelle gridate in teatro. Ogni volta cerco la forma più adatta alla storia su cui sto lavorando».
I personaggi intervistati, come lo stesso Samuel, sono emigrati di seconda generazione, di origini miste, ma ciascuno vive in modo diverso la propria situazione: Laide fa l’interprete ed è impegnata a favorire l’integrazione, Vandad cerca scorciatoie nell’illegalità, la Pantera si dà l’alibi dell’arte per darsi regole proprie; e Samuel come vive la sua doppia cultura?
«Considero questo libro una storia sugli svedesi contemporanei. Sarebbe stata una falsità scriverla senza inserire personaggi con differenti backgrounds, che semplicemente riflettono la società di oggi. Non so quanta parte di Samuel possa essere compresa attraverso la lente della cosiddetta doppia cultura. Ci sono molti modi possibili di descriverlo: gli piace ballare, sa molte cose sui parassiti dei pesci, è alla ricerca dell’amore eterno, passa molto tempo a pensare come potenziare i suoi ricordi. E sì, ha anche una madre e un padre che vengono da Paesi diversi. Sta al lettore decidere quali di questi aspetti spiegano meglio la sua personalità».
Il tema dell’intolleranza razziale è presente non solo nelle sue opere, ma anche in alcuni interventi da opinionista. Una sua lettera aperta del 2013 al ministro della Giustizia ha spopolato in rete, apparendo anche sul «Corriere della Sera» col titolo: «Gentile Ministro, scambiamoci la pelle».
«Per me i testi politici, che sono più brevi e immediati, richiedono chiarezza e rabbia. La scrittura dei romanzi invece ha bisogno di confusione e di mancanza di certezze. Scrivendo questo romanzo ero incerto su molte cose, per esempio: come si è trasformata la mia città natale quando le forze economiche hanno modificato la struttura delle case? Quanto sarei disposto a pagare per sentirmi al sicuro? Esiste un confine preciso tra amicizia e amore? Tutte queste domande hanno un ruolo importante nel romanzo. Ma spero che nessuna di loro riceva una risposta semplice».