martedì 25 giugno 2019
La serie in lingua araba in onda su Netflix sotto la lente della magistratura giordana che indaga la produzione, mentre l’unità dell’esercito responsabile dei crimini online sta cercando di chiuderla
Una sequenza della serie tv, in lingua araba, “Jinn”, andata in onda nei giorni scorsi su Netflix

Una sequenza della serie tv, in lingua araba, “Jinn”, andata in onda nei giorni scorsi su Netflix

COMMENTA E CONDIVIDI

Non si placano nella società giordana e nel mondo arabo le polemiche accese da Jinn, prima serie prodotta da Netflix in lingua araba, andata in onda il 13 giugno. Ambientata fra Amman e Petra, in Giordania, la fiction narra le vicende di un gruppo di adolescenti alle prese non solo con i timori e le emozioni tipici della loro età, ma anche con presenze soprannaturali, sia benevole sia maligne, involontariamente richiamate nel nostro mondo dagli abissi più neri. Niente vampiri né atmosfere boreali, attenzione, ma, in puro stile mediterraneo e ancor più mediorientale, spiriti. In lingua araba jinn, appunto. Riusciranno i ragazzi a salvare il mondo dalle mire distruttive delle forze del male?

Reagendo alle sacche più conservatrici della società giordana, indignate per i contenuti “lascivi” della fiction (i giovani flirtano, si lasciano scappare qualche parolaccia, bevono pure alcol, ndr), la magistratura giordana indaga nella produzione mentre l’unità dell’esercito responsabile dei crimini online sta cercando di chiudere definitivamente la trasmissione. Svariate le ragioni per cui Amman è oggettivamente in difficoltà.

Da un lato, il casato di re Abdallah II sta cercando di ritagliarsi un ruolo nell’intricato puzzle regionale, dando alla sua monarchia un’attitudine moderata, moderna e pragmatica: e lo sviluppo di un’industria dell’audiovisivo nazionale potrebbe contribuire alla trasformazione. Dall’altro, però, la monarchia non può attirarsi le ire delle frange salafite della società, sempre pronte a saldarsi con le correnti jihadiste erranti nell’area. Il dilemma richiede tempo, i vertici nicchiano.

Va detto che i conservatori non hanno tutti i torti a parlare di inverosimile fotografia della società. Jinn non offre uno spaccato di gioventù giordana media: i ragazzi della serie sono più vicini ai colleghi californiani di Beverly hills 90210 che alla maggior parte dei loro coetanei di Nordafrica e Medio Oriente. Tuttavia Jinn, esoterismo a parte, ha l’indubbio merito di mettere in piazza quello che nel mondo arabo tutti sanno e pochi dicono: l’élite, che si parli di Giordania, Libano, Emirati o Marocco, vive ad anni luce di distanza rispetto alla massa della popolazione. Ristrette cerchie di altissima borghesia conducono esistenze ignare di quanto accade nelle strade del proprio Paese, scarrozzate dalla scuola privata al club sportivo alle località balneari da auto di grossa cilindrata con i vetri oscurati. Dopo la cosiddetta Primavera araba ancor di più: il doppio passaporto è sempre pronto per espatriare verso Europa o Americhe, nel caso in cui la gente comune si arrabbiasse davvero. E probabilmente, mostrare questa verità in modo trasparente attraverso un mezzo “democratico” come Netflix è poco prudente o quanto meno indelicato. Allo stesso tempo - e ciò dimostra che i tradizionalisti non capiscono i propri giovani -, è proprio fra i teenagers giordani che Jinn ha avuto il massimo successo nei primi giorni di messa in onda: la fiction piace perché il mix di fantasy, intrighi amorosi e mistero è azzeccato non solo per i “perduti” adolescenti occidentali, ma anche per le nuove generazioni arabe.

Il dibattito è comunque destinato a durare a lungo. Fra i commentatori di costume e società, sui media e i social arabi, alcuni chiedono provocatoriamente: «Perché indignarsi tanto per una rappresentazione “all’occidentale” dei giovani giordani e non farlo invece per le produzioni americane che dipingono tutti i personaggi arabi come terroristi e invasati islamisti?». E ancora: Il Trono di spade, seppure intriso di violenza, intrighi e sensualità, non è mai stato sospeso nell’area Mena (Nordafrica e Medio Oriente). Anzi. Ha tenuto incollati allo schermo milioni di telespettatori come ovunque nel mondo. Già, come mai? Perché gli attori e le ambientazioni non erano arabi. Siamo più precisi: non erano musulmani. E quindi, nessuna aspettativa di moralità da una produzione occidentale.

Sviscerato il piano dei contenuti e della forma - levigata, accurata, pure iper tecnologica -, Jinn ha una peculiarità in più, a voler mettere il naso nelle tasche degli operatori del settore. Rappresenta il guanto di sfida di Netflix alle piattaforme Shahid e Shahid plus, del colosso saudita Mbc (che ha in agenda produzioni originali in lingua), e alle più recenti Starz play (un milione di abbonati) e Wavo. Proposte, anche in streaming, che attirano un’audience prevalentemente familiare, concentrata nel mese sacro dell’islam, quello di Ramadan, durante il quale è tradizione che, terminato il digiuno al tramonto, le famiglie si riuniscano davanti alla tv per vedere fiction di stampo nazional-popolare, dai contenuti edificanti. Netflix vuole di più di un mese all’anno. Il colosso americano non ha voluto finora svelare quante sottoscrizioni abbia in Medio Oriente, ma annuncia di avere grandi piani per la regione, fra cui una seconda intrigante serie, dedicata alle storie delle studentesse di un liceo (al-Rawabi), con cast e addetti ai lavori interamente al femminile, come la regista Tima Shomali e la sceneggiatrice Shirin Kamal. Al centro della fiction, il bullismo nelle scuole superiori e soprattutto «le battaglie delle giovani donne arabe in una luce mai vista finora nella regione», ha spiegato con orgoglio la regista. Al pari di Jinn al-Rawabi school for girls sarà disponibile sulla piattaforma Netflix di 190 Paesi, in 26 lingue. Come pure Paranormale, terza creatura di Netflix in lingua araba, tratta dai romanzi dell’egiziano Ahmed Khaled Tawfiq, presto in streaming in tutto il mondo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: