La Risiera di San Sabba, il campo di concentramento di Trieste
«Fui sbattuto in cella nel campo di prigionia di Danane insieme ai criminali comuni. C’era una sola latrina per quasi duecento prigionieri, da mangiare ci davano cibo avariato e pieno di vermi. Se ci lamentavamo, le guardie dicevano che stavano eseguendo ordini ricevuti dall’alto». Nel 1937 il giudice della Corte Suprema di Addis Abeba, Michael Bekele Hapte, fu arrestato insieme a molti suoi connazionali dopo il fallito attentato al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani. Tra gli etiopi incarcerati nella rappresaglia c’erano persino bambini come Imru Zelleke, che aveva appena dodici anni quando fu assegnato alle pulizie dell’infermeria del carcere. «Molti detenuti si ammalarono di malaria, di tifo, di scorbuto e di dissenteria », ricorda Zelleke, che in seguito sarebbe diventato ambasciatore del suo Paese. «Oltre seimila persone furono detenute a Danane e meno della metà di esse riuscì a sopravvivere in quelle condizioni». Le memorie e le testimonianze dirette della vergognosa campagna fascista in Etiopia sono uno dei tasselli che compongono l’approfondito database del centro di documentazione online “I campi fascisti. Dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò” consultabile su internet all’indirizzo www.campifascisti.it.
Un progetto storico realizzato dopo anni di lavoro dagli studiosi Andrea Giuseppini e Roman Herzog, dedicato alle pratiche di internamento e prigionia di cittadini stranieri, oppositori politici, ebrei, omosessuali e rom messe in atto dallo Stato italiano nel periodo tra la presa del potere di Mussolini nel 1922 e la fine della Seconda Guerra Mondiale. Analizzando e incrociando una mole imponente di materiale proveniente dagli archivi del Ministero della difesa e ri- masta coperta per decenni dal segreto di Stato, Giuseppini e Herzog hanno redatto una mappa aggiornata dei luoghi di internamento nazifascisti in Italia. Migliaia di documenti e ordini di servizio desecretati, testimonianze e foto inedite che hanno consentito di ricostruire gli orrori del Ventennio fascista sfatando, una volta di più, quel mito degli “Italiani brava gente” che ha dominato a lungo la narrazione istituzionale del colonialismo italiano. Le violenze messe in atto dalle camicie nere per eliminare gli avversari politici del regime emergono in tutta la loro eloquenza, ad esempio, nelle immagini dei bambini gravemente denutriti rinchiusi nel campo di concentramento dell’isola di Arbe, in Croazia. Ma anche nella diffusione capillare sul territorio italiano dei luoghi di internamento, dei campi di concentramento, delle zone di confino e delle piccole case di detenzione allestite dal regime fascista. Fino a oggi si credeva che non fossero complessivamente più di trecento, invece la mappatura aggiornata e tuttora in corso, del progetto campifascisti. it ha già consentito di catalogarne oltre millecento: 141 in Lombardia, 109 nel Lazio, 98 in Emilia Romagna, 95 in Veneto. E ancora, 83 in Piemonte, 75 in Toscana e 62 in Abruzzo, solo per citare le regioni italiane del centro-nord. Il database consente di effettuare ricerche geografiche, nominative e per tipologie di internati.
Per ogni campo o luogo di detenzione è fornita, oltre a una scheda descrittiva, una serie di documenti, testimonianze e fotografie. Ci sono poi elenchi e schede degli internati, atti relativi ai congiunti, trasferimenti e cessioni di prigionieri, conferimenti di incarichi, istanze e corrispondenze dei prigionieri. Consultandolo è possibile scoprire, ad esempio, che a pochi passi da casa nostra il regime di Mussolini ha perseguitato e imprigionato cittadini inermi, oppositori politici, ebrei e omosessuali poi spediti nei lager nazisti, da cui spesso non hanno fatto ritorno. Avviato alcuni anni fa grazie a un finanziamento dell’Unione Europea, della Fondazione museo della Shoah e di Audiodoc, il progetto si è concentrato in un primo momento sull’Archivio della Repubblica di Slovenia, sull’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito e sull’International tracing service di Bad Arolsen. Soltanto in un secondo momento è stato allargato inserendo documenti in gran parte inediti provenienti dall’Archivio centrale dello Stato di Roma, e aprendo alla collaborazione di studiosi, istituti di ricerca e università.
Con l’obiettivo di raccogliere testimonianze orali di ex internati e realizzare una mappatura dei luoghi di detenzione istituiti durante la dittatura fascista: dai primi campi realizzati in Libia nel 1930 su ordine del generale Graziani fino a quelli creati dalla Repubblica di Salò dopo l’8 settembre 1943. «L’idea – spiega uno dei curatori, Andrea Filippini – era quella di cercare di colmare quelle lacune e quindi di raccogliere in un unico strumento online quante più informazioni e dati possibili su tutti i campi, attingendo a tre fonti principali: la letteratura storiografica disponibile, le fonti archivistiche e le testimonianze. Offrendo agli utenti una visione d’insieme anche in senso temporale, ricucendo su un’unica linea del tempo i diversi periodi analizzati dagli studi settoriali». Grazie al materiale raccolto è stato possibile scoprire, ad esempio, che nel corso della Seconda guerra mondiale furono reclusi nelle carceri italiane anche molti civili stranieri condannati dai Tribunali militari di guerra. Furono in totale circa due-tremila, provenienti perlopiù da Paesi occupati come la Jugoslavia e la Grecia. Ogni pagina, ogni testimonianza e ogni foto presente nel database di campifascisti.it contribuisce a ricostruire la tragica eredità di quegli anni e a farci fare i conti con una memoria collettiva che è stata in larga parte rimossa fino ai giorni nostri.