sabato 20 agosto 2016
Sci di legno e sottanine: le memorie della campionessa Celina Seghi
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Rossetto e occhiali da sole. A 96 anni. La leggenda dello sci scende le scale dell’hotel. Minuta come sempre, il “topolino delle nevi”. E ancora curiosa. Reattiva. “Scusate, sono un po’ sorda”: ma in verità Celina Seghi sente più che bene. Spesso capisce al volo, a tratti precipita la risposta prima ancora che la domanda sia terminata. E sempre rimprovera l’età quando tenta di frustare il temperamento da toscanaccia dell’Abetone: “Sono un po’ stanca, per venir qui mi hanno fatto fare un giro… mannaggia…”. La sua carriera si concluse nel 1956, alla vigilia dei giochi olimpici invernali di Cortina. E la sua testimonianza cala oggi il sipario sul “Mistero dei monti” (Salone “Hofer”, ore 17.30), il festival d’alta quota promosso dall’Azienda per il turismo di Madonna di Campiglio. In dialogo con Claudia Giordani “luciderà” le sue 37 medaglie guadagnate ai campionati italiani del 1934, un record assoluto. Farà nuovamente brillare il “K di diamanti” conseguito al “Kandahar internazionale”, unica donna al mondo titolare di quella prestigiosissima spilla. E ricorderà i mondiali 1941 di Cortina: la gara non venne riconosciuta tale per l’assenza di molti Stati belligeranti contro l’Italia, ma lei pensò bene di vincere un bronzo a quelli di Aspen (Usa). Era il 1950, e la Seconda guerra mondiale una tragedia a cui porre rimedio. Con Avvenire, invece, la campionessa incoronata per la prima volta a quindici anni non sembra più di tanto interessata a ricordare i suoi successi (“Quelli vedo che li sa già…”). Piuttosto, parla volentieri di famiglia e di fede. Di libertà e di solidarietà. Di quel liquido amniotico che ha nutrito una grande persona, generando al presente un’atleta senza tempo. Unica come il nome che porta. “In effetti è molto particolare…”.IMG_2361.JPG Perché proprio quello? Mia mamma era molto religiosa. Così, leggendo un libro su Teresa di Lisieux, scoprì che la sorella della santa si chiamava Celina. Un tipo piuttosto allegro e frizzante…insomma, piuttosto me! Ma dai! Aspetti, c’è dell’altro. Mio papà non voleva una figlia con quel nome. Allora le sorelle che vennero prima di me si chiamarono in modo diverso. Poi però mia mamma s’impuntò. Pensi che io non avrei dovuto nascere, ma poi venni al mondo il 6 marzo 1920 proprio perché lei avesse una figlia con il mio nome. Quanto deve alla famiglia la sua carriera? Moltissimo. Mi hanno lasciato molto libera d’imparare, molto più libera di come lo erano le donne di quegli anni. Primo maestro di sci fu suo fratello, poi istruttore federale… Io avevo un bel caratterino, e quando non avevo voglia gli dicevo “domani”. Lui è sempre stato un ottimo fratello e maestro, ma quando si metteva lì con me sci ai piedi diventava di una severità inaudita. Cosa ricorda del suo primo paio di sci? Erano di legno… E del primo impianto di risalita che ha utilizzato? Niente. Ricordo solo che ho iniziato senza nessun impianto. Su “a scaletta”, poi giù. E poi su di nuovo con fatica… Un episodio curioso dei suoi primi anni? Allora sciavo con le sottanine. E quando avevo incominciato a diventare bravina, all’Abetone, tutti venivano a vedermi. Una volta si disse che sarebbe venuto anche il parroco, e mia mamma si preoccupò molto. “Se cadi, vestita così si vede tutto! No, no, non va bene…”. E allora per la prima volta mi misero i pantaloni. Come influì la guerra sulla sua carriera? L’ha rovinata, proprio quando avevo cominciato a vincere. Avevo vent’anni, e mi son praticamente dovuta fermare. Altro che sci, bisognava scappare dalle bombe…questo non è un bel ricordo! L’ultima sua sciata informale? Pochi anni fa, e comunque oltre i novanta. Per anni ho fatto l’apripista al torneo “Pinocchio” dell’Abetone, una gara internazionale per bambini. Comunque ci vado sempre, anche senza sci. E tutti mi incitano: “Dai, apri la pista”…(sorride, ndr). Mi ha detto che sua mamma era molto religiosa. E lei? Sì, sì, pure io. Però una religiosità giusta, senza eccessi. Prego…anche la Madonna, cerco sempre di agire come si deve e ho il diploma di solidarietà (il “Premio nazionale cultura della solidarietà”, attribuitole lo scorso aprile dal Centro studi e documentazione sull’handicap di Pistoia, ndr). Molti hanno definito la sua vita una leggenda, piena di tante cose alte e belle. Se potesse sceglierne una, da portare in Paradiso…?  Vorrei il diploma di solidarietà. Non gli sci? No.
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