Personalità come Brague, Spaemann, Scruton, Delsol e Legutko accanto a figure dell’Est hanno firmato una 'dichiarazione di Parigi' per il recupero della «civiltà europea» contro «le superstizioni del progresso, il mercato unificato e l’intrattenimento dozzinale». Assenti italiani, spagnoli e scandinavi Il titolo è di quelli stentorei: Un’Europa in cui possiamo credere. Dichiarazione di Parigi. Tra i firmatari c’è chi ha insegnato a Harvard o alla Sorbona, chi scrive sul “Financial Times” o sul “Wall Street Journal” o chi fa l’opinionista per il “Figaro”. C’è anche chi è stato, negli anni Ottanta, responsabile per la cultura di Solidarnosc o chi ha partecipato a Castel Gandolfo al convegno dedicato all’evoluzione. I loro nomi sono Rémi Brague, Robert Spaemann, Roger Scruton, Chantal Delsol, Ryszard Legutko. Sono pezzi da novanta della cultura europea. Non sono soli però. Meno noti li accompagnano filosofi o intellettuali provenienti dall’Ungheria, dalla Repubblica Ceca, dall’Olanda e dal Belgio.
Tutti, come recita il manifesto, alzano la penna per «difendere, sostenere, promuovere l’Europa vera, l’Europa a cui tutti noi apparteniamo ». Fa specie che tra le adesioni a questo manifesto, di impronta conservatrice, non figuri nessun italiano e nessun spagnolo. Come non compaiono nomi di greci, irlandesi o austriaci. Scandinavi, sloveni, portoghesi o croati. Fa altrettanto specie che quasi nessun giornale, né di destra né di sinistra, abbia dato voce, almeno fino a ieri sera, alla dichiarazione di questi autori inseguiti dalle pagine culturali quando si tratta di parlare di Mosé Maimonide o di Platone, di sussidiarietà o di evoluzione, di difesa del fumo o della caccia ma non ora che invece invocano «ad attingere alla sapienza profonda delle proprie tradizioni». All’origine di questo manifesto, in circolazione sul web da qualche giorno, c’è un incontro avvenuto a maggio a Parigi dove sarebbe emersa tra i partecipanti una preoccupazione per un’Europa disillusa e disorientata da ideologie contrarie alla sua eredità. Invece di cospargersi il capo di cenere, i promotori di questa dichiarazione hanno deciso di fare appello a tutti i loro concittadini per riscoprire la vera Europa.
«L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa – scrivono nelle righe iniziali –. Queste terre sono la nostra casa; non ne abbiamo altra. Le ragioni per cui l’Europa ci è cara superano la nostra capacità di spiegare o giustificare la nostra lealtà verso di essa. Sono storie, speranze e affetti condivisi». «La casa – continuano – è un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile». Se si invoca un’Europa vera occorre far fronte a un’Europa falsa che, secondo gli autori dell’appello, corrisponde a quella promossa dall’Unione Europea dimentica delle radici culturali e spirituali del continente che evoca nel suo nome. «La minaccia maggiore per il futuro dell’Europa – ammoniscono i firmatari – non sono né l’avventurismo russo né l’immigrazione musulmana. L’Europa vera è a rischio a causa della stretta asfissiante che l’Europa falsa esercita sulla nostra capacità di immaginare prospettive. I nostri Paesi e la cultura che condividiamo vengono svuotati da illusioni e autoinganni su ciò che l’Europa è e deve essere. Noi ci impegnano dunque a resistere a questa minaccia diretta contro il nostro futuro«.
I fautori dell’Europa falsa sarebbero «stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile. Credono che la Storia stia dalla loro parte» ritenendo che il solo modo per sostenere la pace sul Vecchio Continente coincida con sradicamento e oblio delle tradizioni e instaurazione di un «mercato unificato, di una burocrazia transnazionale e di un intrattenimento dozzinale». Tra le eredità che si vogliono cancellare ci sarebbe anche il cristianesimo che «ha portato unità culturale all’Europa» permettendo però che «fiorissero lealtà civiche particolari». Solo riscoprendo la vera Europa sarà possibile «sconfiggere un materialismo privo di obiettivi e incapace di motivare gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie» e così «ridare vita all’agire storico dei popoli europei» per recuperare «la dignità di una responsabilità politica condivisa per il futuro dell’Europa ».
Personalità come Brague, Spaemann, Scruton firmano un manifesto per il recupero della «civiltà europea» contro «le superstizioni del progresso». Ma i media lo snobbano
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