mercoledì 30 dicembre 2015
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Universo Zero. Non poteva che intitolarsi così il Romanzo di Renato (altrettanto azzeccato sottotitolo) del giornalista e storico della canzone Andrea Pedrinelli. Un’operazione a dir poco temeraria, stanare un camaleonte della canzone e del costume come Renato Zero. Oltre che un caleidoscopico racconto, questo corposa biografia (Giunti, pagine 240, euro 19,50) è uno slalom gigante tra i paletti di una carriera e di una parabola umana complessa come poche. Un 'universo', appunto, in cui canzoni e tendoni da circo ruotano in apparente disordine inseguendo una misteriosa scia tanto tortuosa quanto, alla fine, lineare. Ed è grazie alla ricognizione storica di Pedrinelli (dalla ricchezza e varietà di fatti e dati all’illuminante discografia, passando per testimonianze, interviste, rassegne stampa, programmi di sala, ecc.) se nella ridondante ga- lassia musicale ed esistenziale di Zero riescono a emergere con chiarezza alcuni cruciali punti fermi. A partire dal filo rosso di una scala etica e valoriale che è una dichiarata fede in Dio, nonostante le mille provocazioni e i furbeschi mascheramenti cavalcati ad arte in quasi cinquant’anni di carriera. Una fede sottile e nascosta tra le miserie e i drammi dei protagonisti di molte sue canzoni o che prorompe con forza in brani come Più su, Padre Nostro, Ave Maria o La vita è un dono. «Le mie canzoni, i miei spettacoli, parlano sempre della vita e dei suoi problemi. In un’ora riassumo anzitutto me stesso, dai primi fondotinta a oggi. E intorno a me, in questa Zerofobia, ecco i personaggi chiave della società. La madre, il papà, lo psichiatra, la sgualdrina, la coscienza. E il cielo, cui bisognerebbe buttare uno sguardo per capire le grandezze e ricchezze di spirito che troppi dimenticano». Così diceva nel 1977 Renato Fiacchini in arte Zero quando, travestito e ambiguo, fece esplodere la sua Zerofobia (400mila copie vendute) con la provocatoria Mi vendo, brano manifesto di un album che si chiudeva però, non a caso, con Il cielo. Ecco lo Zero double face, col costante testa o croce di una vita a cavallo fra trucco e autenticità. In quella copertina Renato è travestito da Pierrot, personaggio della commedia dell’arte e maschera dal cuore spezzato con quella lacrima sul viso, canzonato e bistrattato ma sempre fiducioso nell’umanità. Zero è un 'carrozzone' di personaggi, è l’altro da sé. È uno, nessuno e centomila tra crisi profonde e repentine rinascite, tra album sprecati come Via Tagliamento, Leoni si nasce e Cattura e i colpi d’ala dello Zero anni ’90 (che non si traveste più e non alleva più 'sorcini'). Dischi come L’imperfetto, Amore dopo amore e La curva dell’angelo.La carriera di Zero, cominciata in sordina al Piper di Roma, per Pedrinelli ha un precoce e curioso prologo, come racconta. Renato aveva sette anni, era in auto con suo padre Domenico (poliziotto) sulla via Cristoforo Colombo, quando si affiancò una Giulietta con una donna al volante. «Era Anna Magnani. Ravviandosi i capelli, mi salutò dicendo: 'Ciao, Nì!'. Poi si perse nel sole, sembrava un film di Hollywood ». Quel fotogramma del 1962, svelato dallo stesso Zero, è stato l’emblematico battesimo 'popolare' di una parabola artistica tanto eccessiva quanto essenziale. Così (evocando alcune sue celebri canzoni), tra triangoli e baratti, tra periferie e manichini, tra marciapiedi e spalle al muro, le mille provocazioni e denunce di Zero hanno sempre finito con l’incontrarsi in Tutti gli Zeri del mondo a cui Renato ha dato voce. Sempre in nome di una vita cantata a modo suo, a partire dalle prese di posizione contro l’aborto. «I figli sono di tutti. Di chi li concepisce e di chi ne conosce l’esistenza – scrisse dieci anni fa all’indomani dell’uscita dell’ispirato album Il dono –. Rifiutarli è un insulto alla vita, una violenza verso noi stessi. E se l’avessero fatto a noi? Non ci sarà pace in questo mondo finché un solo figlio non si sentirà veramente accettato e al sicuro». E alla fine la tanto promessa e inseguita Fonopoli, grandiosa e utopistica musicale Zerofollia durata decenni, non poteva che rimanere un itinerante e infinito sogno da poter soltanto cantare. Come i migliori anni della nostra vita.
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