«La paura di dover ammettere a me stessa che non avevo abbastanza fegato per farcela mi ha spinto a provarci. E la paura di dover ammettere che non ci sarei riuscita, mi ha spinto a perseverare, lavorando sul mio corpo e sulla mia mente, con tanti sacrifici e rinunce». Ausilia Vistarini è la prima donna italiana ad aver concluso la Iditarod trail, gara fra le più dure del mondo. In sella alla bici la Vistarini ha percorso 563 chilometri tra le foreste dell’Alaska a 40 gradi sottozero, in 5 giorni, 5 ore e 50 minuti. Una sfida a cui ogni anno partecipano 50 persone che macinano risultati sportivi per superare le selezioni. Tre le discipline sportive: ciclismo, sci, corsa. Due le lunghezze: 563 km e 1770 km. I neofiti hanno a disposizioni solo 5 posti, gli altri 45 sono riservati a chi ha dimostrato di farcela almeno una volta. Una sfida, splendida e terribile: «L’idea di questo viaggio - spiega Ausilia - si è fatta strada a poco a poco dentro di me due anni fa, quando mi chiedevo, osservando un amico che stava per viverla, se avrei mai avuto il coraggio di provarci. Lo scorso anno lo ho accompagnato negli allenamenti, ma essere là in gara è un’altra cosa. Sarei stata abbastanza forte, mi chiedevo, per resistere alle notti buie, al freddo brutale che non conoscevo, al vento che sferza il volto e si infila in ogni minima fessura negli abiti?». La preparazione si fa anche in cella frigorifera. «Io non sono arrivata a tanto - continua Ausilia - ma per tutto l’inverno ho dormito con la finestra aperta. C’è chi affitta una cella frigorifera da qualche amico macellaio e ci trascorre qualche ora, o ci dorme proprio. D’altronde in Italia, ma anche in Europa, non ci sono le condizioni climatiche che si incontrano in Alaska». Ma non è solo il freddo a rendere la Iditarod una gara ai limiti. «Appena prima della partenza si firma una liberatoria per l’eventuale morte in gara. Oltre all’assideramento, c’è il rischio di attacchi da parte di animali selvatici. Le alci sono molto aggressive, per fortuna a marzo l’orso è ancora in letargo e i lupi non attaccano l’uomo, generalmente». Hai voglia ad allenarti. «È una gara soprattutto di testa. Puoi essere molto preparato fisicamente, ma se perdi la testa, non perdi solo la gara. Se arriva una bufera devi scavare un buco nella neve il più veloce possibile, infilarti (tutto vestito, scarponi compresi) nel saccopelo e aspettare». Niente navigatori satellitari, la pista è segnata con catarifrangenti sugli abeti. Nessuna assistenza in gara, solo un check point di controllo ogni 100 km. Ogni partecipante deve essere autonomo. La bici di Ausilia, ruote di 12 cm e telaio massiccio, pesava 30 kg. «Per fortuna l’ho dovuta spingere solo per un centinaio di chilometri a causa della neve troppo alta». Sulla bici Ausilia portava abbigliamento, il kit per aggiustare la bici, medicinali, sacco a pelo, cibo. «Ho mangiato carne e pesce disidratati, qualche barretta, ma il recupero era fatto al check point dove trovavi pasta e formaggio». Sette strati di tute di alpinismo per una gara che mette alla prova. «Ci sono momenti che allenti la concentrazione. Allora io comincio a pregare». La notte, sogno o incubo? «Sono riuscita sempre ad arrivare al check point che a volte era un rifugio altre una tenda e dormire in una brandina che mi pareva ogni volta bellissima...».Ausilia Vistarini ha 40 anni, è commercialista e vive a Lomello in provincia di Pavia. «Mi alleno quasi tutti i giorni ma senza esagerare, andare in bici è un divertimento». Ausilia è campionessa italiana di 24ore mountain Bike endurance. «Tutti possono cominciare - spiega - basta iscriversi a una “sei ore” e si sperimenta. Questo tipo di ciclismo è ancora sportivo. A parte la medaglietta, la coppa o il diplomino, non ci sono altri premi». Come nella Iditarod, solo gloria.