venerdì 26 luglio 2024
Le Gallerie dell’Accademia presentano la ricostituzione integrale dell’opera lignea che l’artista dipinse per una stanza di Palazzo Corner Spinelli nel 1542
L'affresco di Vasari per Palazzo Corner Spinelli ricomposto

L'affresco di Vasari per Palazzo Corner Spinelli ricomposto - Marsilio Arte

COMMENTA E CONDIVIDI

Dopo cinque secoli dalla sua realizzazione, le Gallerie dell’Accademia di Venezia presentano, il prossimo 28 agosto, l’integrale ricomposizione del meraviglioso soffitto ligneo che Giorgio Vasari – di cui quest’anno ricorrono 450 anni dalla morte – dipinse per una camera di Palazzo Corner Spinelli nel 1542, e che sarà parte della collezione permanente del museo.

Grazie alla sinergia del Ministero della Cultura, delle Gallerie dell’Accademia, in particolare del direttore Giulio Manieri Elia, e di fondazioni private come Venetian Heritage, che ha finanziato il volume dedicato (Marsilio Arte), sono state recuperate le tavole che già sul finire del Settecento andarono disperse, finendo in collezioni private italiane ed estere.

La lettura iconologica della narrazione è stata, per via di questi pezzi mancanti, finalmente ora ritrovati, complessa e tortuosa. L’opera raffigura nel suo insieme le Virtù: al centro la Carità, che domina sul resto della composizione, circondata dalla Speranza e dalla Fede, rispettivamente a sinistra e destra, e sui lati più corti, in basso e in alto, Giustizia e Pazienza.

Una menzione speciale va alla rappresentazione di Giuda, un frammento riacquistato dallo Stato italiano già nel 1980 per la Casa di Vasari ad Arezzo, all’epoca non ancora identificato come parte del complesso di Palazzo Corner.

Chi con pazienza si dedica a comporre puzzle sa che vi possono essere pezzi chiave che, una volta collocati al loro posto, consentono di ridare senso all’insieme. È quel che è avvenuto dieci anni fa col dipinto noto come Giuda, che ha consentito di chiarire quali fossero le dimensioni della sala e di ripensare il programma iconografico della “camera nova” di Giovanni Corner.

Le affinità di questo dipinto col soffitto veneziano erano state colte sin dal momento dell’acquisto per il museo toscano nel 1980, ma per decenni era stato considerato testimonianza di una seconda sconosciuta decorazione veneziana di Vasari, non ritenendo possibile che un Giuda potesse far parte di un soffitto con Virtù.

Quel dipinto non era, però, una raffigurazione del suicidio di Giuda, ma una personificazione per esprimere il concetto della Disperazione, secondo una tradizione iconografica consolidata che mostrava il disperato nel momento in cui decide di darsi la morte. Letto correttamente il soggetto, il passo successivo fu ostinarsi a ritenere che quella tavola dovesse far parte del soffitto Corner e che in origine dovesse trovarsi vicino a quella raffigurante la Speranza (all’epoca in collezione privata a Londra). L’ostacolo maggiore per inserire questo dipinto nel soffitto era proprio Vasari, il quale, sia nelle sue Ricordanze che nella vita del pittore Gherardi, ricordava con precisione di aver dipinto nove tavole, cinque con virtù e quattro con putti. La tavola di Arezzo risultava così essere di troppo.

L’enigma fu risolto insieme alla restauratrice Rossella Cavigli, accostando le foto del Giuda di Arezzo e della Speranza di Londra, e tutto in pochi minuti fu chiaro: la Disperazione (o Giuda) era stata tagliata dalla tavola della Speranza, un lembo rosa dell’abito della virtù continuava nel dipinto toscano, e parte del pennacchio rosso dell’elmo del soldato ai piedi del Giuda era ancora visibile sul bordo del dipinto inglese. In questo modo, il numero delle tavole non variava rispetto a quello indicato nei pagamenti e negli scritti dell’artista aretino: semplicemente, Vasari non aveva precisato che due degli scomparti da lui dipinti erano più lunghi, perché destinati ai lati maggiori di un ambiente rettangolare. In verità non aveva neanche chiarito cosa fosse raffigurato vicino alle virtù, ricordando soltanto che erano «accompagniate da figure diverse secondo un disegno fatto lì, perciò».

Il Giuda era dunque una delle figure disegnate appositamente per il soffitto, alle quali Vasari aveva superficialmente fatto cenno. L’inserimento della Disperazione portava a ipotizzare che anche le altre virtù avessero il ‘vizio’ a loro opposto. Acquistava così senso anche un singolare dettaglio, la corda tenuta dalle Fede, alla quale verosimilmente doveva essere legata una personificazione dell’Infidelitas o dell’Eresia, tagliata come il Giuda e al momento da ritenersi perduta.

Così finalmente ricomposto con la contrapposizione vizi-virtù e altre figure da tempo individuate come esempi di virtù, il soffitto Corner si inserisce in una tradizione iconografica che si ritrova già nell’XI secolo e che viene sorprendentemente attualizzata. I personaggi sono posti davanti a una balaustra che affaccia su un cielo nuvoloso, nel quale appare la Carità intenta a innalzare il pellicano che si becca il petto per nutrire col suo sangue i piccoli, simbolo del sacrificio di Cristo col quale è stata redenta l’umanità. Questo elemento è il motore che dà significato all’intera composizione.

Mentre la Carità irrompe tra le nuvole, Noè, esempio di virtù della Speranza, vede tornare la colomba con un ramoscello nel becco, segno che le acque del diluvio si sono ritirate. L’àncora della Speranza è saldamente fissata alla balaustra, la stessa oltre la quale il disperato si accinge a gettarsi.

Vasari, tuttavia, dipinge un tempo sospeso in cui il suicidio non è ancora compiuto, e sembra voler illustrare la possibilità di una salvezza anche per Giuda: il viso del disperato è raggiunto dal fumo della lampada, e gli occhi chiusi sono colpiti dalla luce della Carità. Tale scena è osservata, oltre che dal soldato con elmo, anche dall’esempio di virtù che affianca la Pazienza, già identificato con Giobbe che medita pensieroso. In un probabile gioco di contrapposizione tra chi ha scelto la morte per disperazione, non avendo fiducia nella misericordia di Cristo (gli occhi chiusi), e chi, come Giobbe, ha tenuto salda la fede, resistendo alla tentazione di darsi la morte. I putti negli angoli, che recano delle tabelle su cui nulla è ancora scritto, potrebbero ulteriormente partecipare a quest’azione sospesa.

Considerato il periodo di esecuzione tra la primavera e l’estate del 1542, l’apparizione della Carità su un cielo nuvoloso sopra al nuovo palazzo Corner, potrebbe essere un riflesso in pittura del dibattito religioso in atto, dopo i colloqui di Ratisbona e prima dell’inizio del Concilio, alla ricerca di un’intesa con i luterani.

Se da un lato la Carità fa incoronare dai suoi putti le virtù, che devono guidare l’agire umano, dall’altro innalza il “sacrificio di Cristo”, il vero centro della decorazione. L’agire virtuosamente non è sufficiente e l’uomo è a rischio caduta, come dimostrano gli esempi di virtù Giobbe e Salomone, che furono tentati dalla disperazione e dall’idolatria. Forse, alla base del programma decorativo, vi erano temi non molto distanti da quanto Gaspare Contarini aveva scritto in una lettera del 7 febbraio 1523 al suo amico Giustiniani a Camaldoli: «Allorquando l’uomo pensa di aver acquistato tali virtù, proprio allora cade…dobbiamo giustificarci con la giustizia di un altro, cioè di Cristo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: