Un ritratto postumo di sant'Eusebio - archivio
«Quando sarò alla tua presenza, mio Imperatore e Signore, prometto fin d’ora di fare tutto ciò che apparirà giusto e gradito a Dio». Sono queste le parole con cui Eusebio, primo vescovo di Vercelli, risponde all’imperatore ariano Costanzo, che gli intimava di partecipare al concilio di Milano del 355. Come scrive Renato Uglione, che ha di recente pubblicato l’epistolario eusebiano e le antiche testimonianze a lui relative (Loescher, pagine 360, euro 55,00), già solo queste poche parole lasciano trasparire «l’animus autentico del vescovo: cortese, diplomatico, ma nella sostanza intransigente e per nulla disposto a scendere a compromessi quando si tratta di principi irrinunciabili come quelli riguardanti l’ortodossia dottrinale». Al concilio di Milano era in discussione la condanna di Atanasio, vescovo di Alessandria, che difendeva il credo del concilio di Nicea del 325, in base al quale il Figlio era detto «della medesima essenza» del Padre. Per il suo prestigio e la sua autorevolezza Eusebio rappresentava l’ago della bilancia al concilio di Milano, tanto da mettere in grande agitazione i vescovi filo-ariani, che sostenevano l’inferiorità del Figlio rispetto al Padre e che con la violenza e l’appoggio dell’imperatore riuscirono a condannare Atanasio. Solo tre vescovi rifiutarono di firmare la condanna e di rimanere fedeli al credo di Nicea. Tutti e tre furono mandati in esilio. Tra questi vi era Eusebio di Vercelli. Appartiene a questi anni di sofferenza la lettera inviata ai carissimi fratelli presbiteri e alle comunità di Vercelli, Novara, Ivrea e Tortona. Eusebio non si sofferma solo sulle angherie cui è sottoposto, ma denuncia più volte la col- lusione degli ariani con il potere, che con vanto dichiarano di averlo ricevuto direttamente dall’imperatore: «Non sto a dire quanta crudeltà si sia impadronita di costoro da quando possono contare sul potere temporale!». In tale frangente il comportamento di Eusebio è ispirato a quello del Maestro: consegnandosi in silenzio e senza protestare agli ariani, come a dei carnefici, riuscì a dimostrare che essi non avevano a tutti gli effetti alcun potere. Non era questo comportamento scontato nelle comunità del tempo: alcuni vescovi, infatti, come afferma lo stesso Eusebio, «nel timore di perdere la carica, hanno perduto la fede; e per non voler perdere i beni e i privilegi terreni hanno giudicato senza valore i tesori celesti e la vera sicurezza». È una denuncia grave contro una piaga che si stava diffondendo: molti uomini di chiesa preferivano assecondare la politica religiosa degli imperatori per ottenere in cambio benefici. È la costante contraddizione che attraversa tutta la storia della Chiesa: da una parnon te la collusione con il potere, dall’altra, come scongiura Eusebio, la custodia della fede, la cura della concordia, l’assiduità nella preghiera, che sono gli evangelici rimedi contro il degrado ecclesiastico. Ma l’azione di Eusebio non si limitò alla testimonianza personale. Tornato a Vercelli dopo gli anni dell’esilio, il vescovo diede vita a una comunità di presbiteri di nazionalità diversa e con tradizioni ecclesiali diverse che vivevano insieme nella povertà, nell’umiltà e nella continenza. Era una forma di vita cenobitica del clero in cui si condividevano vitto, alloggio, preghiera e studio. A differenza delle coeve esperienze monastiche il cenobio eusebiano si trovava in città e nel deserto, era clericale e non monastico. In questa comunità si formavano i presbiteri della chiesa di Vercelli, alcuni dei quali avrebbero fondato nuove chiese in Piemonte e ne sarebbe diventati vescovi. A questo proposito vengono in mente le parole di Papa Francesco: «Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto». Pur in un conteso differente, si può dunque cogliere nella strada comunitaria una reale possibilità per contrastare i poteri forti e per concretizzare un’effettiva differenza cristiana. A differenza di altri suoi contemporanei, Eusebio non scrisse molto e non era a capo di una sede episcopale prestigiosa, eppure rimeditò in profondità i contenuti dottrinali della controversia ariana, facendone una solida base per un’azione politica che alla lunga si dimostrò efficace contro gli ariani, che trovavano appoggio nel potere imperiale. Eusebio morì nel 371. La pubblicazione del volume curato da Uglione si colloca all’interno del 'Progetto Eusebio di Vercelli 2021-2022', che è stato insignito della medaglia di rappresentanza del presidente della Repubblica italiana e che commemora i 1650 anni dalla morte del protovescovo vercellese e patrono del Piemonte: «E così – scrive una testimonianza antica – quegli uomini degni di essere ricordati, quando, circondati da armati e scortati dall’esercito, venivano trascinati via dalla chiesa, riportarono un trionfo sul potere imperiale, poiché con le offese terrene acquistavano la fortezza dell’animo e la potestà di un re».