giovedì 6 maggio 2021
Tra tentazione elitarie e derive di massa, il museo oggi sta trovando una nuova identità come luogo capace di intercettare interesse e partecipazione democratica. Non deve però perdere autorevolezza
Se l'arte è relazione il museo è uno spazio politico

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Domani e sabato avrà luogo il convegno internazionale dal titolo “Arte e riconoscimento dell’Umano. Un dialogo fra saperi”. Le due giornate di studio costituiscono il primo evento pubblico del gruppo di ricerca su “Arte e riconoscimento” del centro di studi Ihrc (International Human-Being Research Center - Uomo, culture e relazioni), che ha sede presso il Dipartimento di Filosofia, scienze sociali, umane e della formazione dell’Università degli studi di Perugia e nasce dall’accordo con Université catholique de Lyon, PUC di Rio de Janeiro, IUS Sophia. Dal programma del convegno, che si potrà seguire sul canale YouTube dell'editore Città Nuova, anticipiamo la sintesi dell'intervento di Irene Baldriga (Università la Sapienza, Roma) su “La vocazione politica del museo moderno: vis civica e nuovi pubblici”

In un celebre articolo degli anni ’70, Duncan Cameron sintetizzava le due strade del museo contemporaneo con una domanda efficace: “ Museum, temple or forum?”. In quella fase delicatissima del XX secolo il museo veniva scelto come simbolo di una riconfigurazione del rapporto tra società e cultura. Ne è un evidente esempio il percorso politico che condusse all’apertura del Centro Pompidou di Parigi, fortemente voluto dall’allora presidente francese come gesto di conciliazione dopo le agitazioni del ’68 ma duramente contestato da un osservatore come Jean Baudrillard, che non esitò a parlare di mistificazione e di operazione di dissuasione culturale, ritenendo il progetto come inganno politico, ma soprattutto come una forma di alterazione dell’equilibrio tra società e cultura. Baudrillard non mette in dubbio la qualità politica del museo, anzi ritiene che il museo venga destrutturato e stravolto attraverso un’operazione che trasforma l’esperienza di visita da momento di rivelazione e scoperta a rito di massa.

Nella seconda metà del ‘900, il museo diviene dunque un contesto di negoziazione politica e culturale: la sua rilevanza simbolica lo ha trasformato in un terreno di scambio e di complessa riconfigurazione del rapporto tra società e cultura, che dopo una fase di oggettiva opacità e confusione ha riconquistato chiarezza attraverso la chiave interpretativa della cittadinanza. Affermandosi in modo sempre più esplicito come luogo di esercizio della partecipazione democratica, il museo ha potuto da un lato alleggerire il suo tradizionale carattere di elitarismo, dall’altro è riuscito ad arginare – almeno in parte – l’effetto Beaubourg denunciato da Baudrillard.

La dicotomia evidenziata da Cameron, sul museo “tempio o foro”, conserva ancora oggi una sua piena validità e trova nella dimensione politica uno sviluppo ancor più attendibile. Assumendo su di sé il ruolo di spazio di confronto e di legittimazione delle identità civiche, il museo può compensare oggi alcuni degli strappi subiti dalle democrazie, rispetto per esempio alle questioni dell’inclusione delle minoranze, al coinvolgimento delle fasce deboli ma anche al rapporto tra cultura e poteri forti. In tale riassetto degli equilibri appare determinante il ruolo dell’esperienza estetica, intesa non come fuga o alienazione dalle questioni politiche, bensì come spazio di crescita della persona “in relazione” con gli altri e con il mondo, come allenamento delle competenze civiche fondamentali, in termini di identità, memoria, consapevolezza dell’essere, e dell’esser-ci, come cura del bene comune.

Nella crisi epocale dei sistemi aggregativi tradizionali (dai partiti politici, all’associazionismo, alle confessioni religiose), il museo postmoderno si caratterizza per la capacità di intercettare interesse e partecipazione, ponendo come obiettivo della propria missione il massimo coinvolgimento e l’ascolto dei visitatori, classificati nella declinazione plurale dei “pubblici”. In questo senso il museo accoglie e incoraggia una forma di cittadinanza culturale, che trova la sua architettura valoriale nel rapporto tra società, patrimonio e identità. Tratto prevalente di questa forma di partecipazione è la speculare corrispondenza con le trasformazioni che si attivano sul terreno della società reale: i fenomeni dell’interculturalità, delle emergenze educative, delle emarginazioni e ineguaglianze, delle in-sostenibilità economiche e ambientali entrano a far parte dello scenario programmatico dell’istituzione museale.

Negli scenari che si vanno configurando nel nuovo millennio, il museo assume una centralità simbolica e una qualità sociale che trovano nella comunicazione e nel confronto i loro tratti più rilevanti, incoraggiando di fatto nuove forme di dialogo e di partecipazione dei cittadini. I musei arrivano oggi a intercettare un bisogno di parola e di intervento sulle urgenze locali e planetarie, offrendo terreno di confronto disgiunto da interessi specifici e per questo qualificato da una maggiore credibilità, capace di restituire fiducia nel processo partecipativo, nel vantaggio del dibattito pubblico e nel pieno esercizio della cittadinanza.

È importante interrogarsi, tuttavia, sulla riformulazione dei messaggi e delle narrazioni di cui il museo è protagonista e artefice. La spinta partecipativa non dovrebbe cedere alla tentazione di un affrancamento dalla responsabilità del messaggio: l’estensione del museo come spazio pubblico va sostenuta e difesa in virtù di un’autorevolezza che si va sgretolando in altre istituzioni della conoscenza. Il museo militante si qualifica oggi come baluardo del valore della cultura, come dimensione sociale in cui l’esperienza estetica si declina necessariamente in termini di responsabilità civica e di partecipazione democratica della comunità.

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