sabato 4 novembre 2023
L’analisi del vescovo di Novara Brambillasullo stile pastorale dell’arcivescovo di Milano attraverso le lettere alla diocesi: profondità umana e altezza teologica che ricorda le chiese più belle
Il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012)

Il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) - Ansa

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Nei ventidue anni di ministero nella Diocesi ambrosiana Martini ha scritto 23 lettere pastorali, oltre a moltissime lettere di indizione o di accompagnamento a eventi e iniziative realizzate tra il 1980 e il 2002. Appena pubblicato da Bompiani l’ottavo volume della sua Opera omnia raccoglie e presenta oltre cinquanta di questi documenti. Col titolo Il cammino di un popolo. Lettere pastorali e programmatiche curato da Maria Grazia Tanara (pagine 1.360, euro 40,00) risulta essere un libro prezioso e un documento storico unico che rende testimonianza non solo della fede di un popolo ma anche di un percorso civile e sociale della città di Milano e della sua gente, che Martini tanto ha amato e custodito come un dono prezioso e promettente. In pagina proponiamo un ampio estratto dalla prefazione firmata dal vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla pubblicata col titolo “La grande cattedrale”.

Chi si accinge a leggere questo volume dell’Opera omnia del cardinal Carlo Maria Martini, in cui sono raccolte le diciannove lettere pastorali, impreziosite da più brevi interventi di alto valore comunicativo, si troverà nella stessa condizione del visitatore di una grande cattedrale. Per alcuni, dai quarant’anni in giù, sarà la sorpresa meravigliata della visita a un monumento di sapienza evangelica e umana, divenuto famoso nel racconto di molti credenti e non solo. Per altri che, durante il suo episcopato, hanno sfogliato le lettere pastorali di Martini, magari gustandole per assaggi, visitare in una volta sola l’edificio maestoso del magistero dell’arcivescovo di Milano susciterà la nostalgia di non averne approfittato del tutto al momento opportuno. Per altri, ancora, l’assidua frequentazione degli insegnamenti del pastore della Chiesa ambrosiana, nell’ultimo ventennio del Novecento, rinsalderà la coscienza di aver vissuto un momento “magico”, che sembra dimenticato troppo velocemente.

Per tutti la paziente lettura del testo, che andrà fatta passando attraverso il portale della “dimensione contemplativa della vita”, diventerà un emozionante corpo a corpo col tempo drammatico e struggente dell’episcopato Martini, teso tra la “Milano da bere” e le bombe del terrorismo degli anni piombo. Per passare poi, negli anni ’90, questa volta sì a un vero cambiamento d’epoca, con il crollo delle ideologie e la caduta degli ideali (1989), che inaugura il tempo della “modernità liquida” (Z. Bauman) e delle “passioni tristi” (M. Benasayag). A confronto, i primi due decenni del XXI secolo appena spirati, non sono che il cono d’ombra che s’è prodotto a partire da quel cambiamento, funestato da tre eventi devastanti: l’attentato alle Torri Gemelle, la crisi economica del 2008, e l’epidemia mondiale del Covid con l’invasione russa dell’Ucraina.

Nell’oceano del magistero di Martini, come testimonia il piano dell’Opera Omnia e i volumi sinora pubblicati, l’appuntamento annuale con la lettera pastorale era il più atteso e il meglio preparato. Anzi, era l’unico a cui l’Arcivescovo dedicasse un lungo tempo di consultazione, di confronto e di preparazione, riservandosi persino una settimana di riposo e meditazione. Egli portava con sé la bisaccia di tutti i contributi, testi e bibliografie, raccolti dopo aver concepito il tema della lettera. Passava quel tempo con un collaboratore amico, ispiratore delle prime cinque lettere pastorali, che lo imposero all’attenzione della città, della Chiesa italiana e del mondo. L’Arcivescovo aveva conosciuto don Luigi Serenthà nel 1980, in occasione della breve consultazione per la prima lettera pastorale. Così lo ricorda lo stesso Cardinale: «Mi accorsi subito che [tra i contributi] ce n’era uno di qualità superiore, ricco nel linguaggio, profondo nelle visioni teologiche, pieno di senso pastorale».

Sulla gestazione delle Lettere pastorali Martini ci ha lasciato una testimonianza di primordine. È utile per capire metodo, disegno e tessitura con cui sono stesi questi documenti, per i quali nel postconcilio c’erano pochi esempi, che faticosamente andavano alla ricerca di un genere letterario che onorasse lo “stile del Concilio”. Il Cardinale lo ricorda nel punto centrale della testimonianza in occasione del quinto anniversario della morte di don Serenthà. Ascoltiamolo: «E a un certo momento la riflessione culminava nella ricerca di quella che chiamavamo la orghè, l’ira, lo scopo per cui valesse la pena di lottare, di impegnarsi a fondo. Era quindi l’elaborazione di un messaggio, si passava allo schema e se ne discuteva. Venivano anche momenti di dubbio, quando ci sembrava di non aver veramente trovato il punto della questione, di non aver messo a fuoco il problema, di andare fuori strada. Venivano momenti di sconforto. Adagio adagio emergeva uno schema e si cominciava a stendere qualche pagina, cercando di trovare uno stile. Ci si fermava lì, perché i tre o quattro giorni erano trascorsi. Ormai il lavoro successivo, di stesura, sarebbe stato facile» (Commemorazione tenuta presso il Seminario di Venegono [8 ottobre 1991], in “La Fiaccola” [dicembre 1991] 13-20). Tra le pieghe dell’amicizia, e negli archivi del fondo Serenthà, ci sono i segreti e le carte di questo “facile” lavoro di stesura che portava al parto della lettera.

È importante questa breve notizia, per comprendere la storia e ricostruire la trama della grande cattedrale dell’insegnamento pastorale di Martini. L’architettura del monumento è stata studiatamente pensata, non con un disegno concepito a monte del cimento con lo svolgersi della storia contemporanea: quella della città e dell’epoca. Con la prima lettera certamente i “cinque pilastri” della fase iniziale del suo episcopato (1980-1985) furono nitidamente architettati e poi innalzati uno per uno. Dopo la prematura scomparsa dell’amico collaboratore, altri subentreranno come compagni di viaggio, per il lungo percorso delle lettere pastorali dedicate all’“educare, comunicare, vigilare” (1987-1993): è il periodo più complesso e in qualche misura tortuoso nella edificazione delle “pareti” della cattedrale. Sembra quasi di assistere al passaggio dall’antico Duomo di Santa Maria Maggiore del ’300 alla lenta e travagliata costruzione che porta a compimento il corpo centrale del Duomo di Milano nel Seicento e Settecento. C’è una singolare analogia tra il tormentato rifacimento del monumento milanese e questa seconda stagione dell’episcopato martiniano.

Il terzo momento (1994-1998) inaugura un tempo che impreziosisce la grande cattedrale del magistero martiniano con la levità del soffio dello Spirito. È la sfida a incarnare il suo sogno nella operosità della pastorale ambrosiana, mediante il Sinodo con cui chiama a raccolta tutta la Chiesa di Milano. Martini innalza per così dire le “guglie” della cattedrale del suo magistero. Al centro si colloca la splendida Lettera introduttiva al Libro sinodale. La Chiesa degli Apostoli, con cui ha fatto trovare il punto di orghè all’interminabile codificazione di molti orientamenti e di poche norme del Sinodo. Poi nei tre anni seguenti Martini si è dedicato quasi a un ressourcement spirituale (ritorno alle fonti) del cammino sinodale, seguendo il canovaccio della Tertio millennio adveniente, 1994, di Giovanni Paolo II. Tre lettere pastorali ne hanno scandito la marcia di avvicinamento: Parlerò al tuo cuore, 1996; Tre racconti dello Spirito, 1997; Ritorno al Padre di tutti, 1998.

Nell’ultimo scorcio di secolo (1999-2000), il quadrante del tempo batteva l’ora di fine millennio. Potremmo dire che questo passaggio è stato il “roveto ardente” dell’insegnamento martiniano, l’“altare” della cattedrale dei suoi scritti, capace di con-durre gli ascoltatori al cuore del messaggio cristiano e della vita umana. L’anno giubilare è concentrato sul gioiello della lettera del 1999, Quale bellezza salverà il mondo, seguito dalla sosta contemplativa della Madonna del Sabato Santo, 2000.

Oltrepassato il traguardo del Grande Giubileo, nella scia della Novo Millennio Ineunte del 2001, di papa Giovanni Paolo II, Martini portava a pienezza il suo magistero episcopale. Seguendo la metafora della nostra visita alla cattedrale, approdiamo all’“abside” che ci consente di rivedere con uno sguardo sintetico il cammino fatto. Il Cardinale, con una lettera pastorale retrospettiva, Sulla tua Parola (2001), ripercorre il tragitto percorso e conferma la scansione delle lettere di questo volume dell’Opera Omnia. Aggiungo solo un’ultima cosa: nel “tornacoro” del Duomo di Milano – e qui la metafora assume una particolare plasticità – possiamo collocare i preziosi testi pastorali che Martini ha disseminato sul cammino: la lettera in occasione del cardinalato Il martirio, l’Eucaristia e il dialogo; la Lettera a san Carlo nel quarto centenario della sua morte; la lettera alla città di Milano Alzati, va’ a Ninive, la grande città; la lettera Il vento e il fuoco per il sinodo; e, infine, la struggente meditazione di congedo Vi affido al Signore e alla parola della sua grazia (2002), sul canovaccio del discorso di Paolo a Mileto.

Nella nostra metafora della visita alla cattedrale manca un elemento significativo: la “facciata”. Non è un caso che anche per il Duomo di Milano la scelta e la realizzazione della facciata sia stata molto tormentata: ciò che oggi è primo nella visione, è stato ultimo nell’esecuzione. Nel volume che avete tra mano c’è un testo breve e fulminante, che ritengo sia la perla preziosa del magistero di Martini: Cento Parole di comunione (1987). Ci fa sentire il battito del cuore pastorale di Martini, nel drammatico e decisivo incontro di Parola e coscienza che sfida l’uomo d’oggi. Possiamo metterlo in esergo al suo magistero!

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