venerdì 23 marzo 2012
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​Sulla parete di una stanza di un ospedale, reparto pediatrico, sta scritta una poesia che recita: «D’accordo malattia, questa notte fammi soffrire, se vuoi anche domani, e dopodomani. Un mese, un anno, divertiti un po’, ma per sempre, per sempre no».Il grande Jack, la malattia di un bambino l’ha vista e toccata, con le sue mani da campione della pallavolo. Il grande Jack è Giacomo Sintini, 33enne palleggiatore di Lugo di Romagna. La sua è una storia di quelle che lo rendono un piccolo eroe esemplare dello sport che merita di essere ripercorsa dagli inizi. «A 14 anni sono entrato nel settore giovanile del Porto Ravenna, la squadra della grande era di Raul Gardini e del Messaggero. E a 18 anni ho debuttato in A1». Il giovane Jack in campo studia attentamente il suo idolo, il bronzo olimpico a Los Angeles ’84, Fabio Vullo. A credere ciecamente in questo gigante di 196 centimetri, dallo sguardo dolce e i modi sempre garbati, fu il coach Fausto Polidori: «È stato lui il primo che mi ha fatto capire che quello del volley poteva diventare il mio mestiere». Un mestiere fatto di sacrifici affrontati con grinta e con il sorriso dei ragazzi sani di Romagna. «Oggi sorrido quando ripenso agli insegnamenti di Giuseppe Brusi, un dirigente del Ravenna, un secondo padre per me e per tanti dei miei ex compagni. Giuseppe controllava le pagelle scolastiche e se disgraziatamente c’era un “5” ci spediva di corsa a ripetizione. I suoi comandamenti erano: mangiare bene e allenarsi meglio, niente alcol niente fumo, via gli orecchini e capelli rigorosamente tagliati corti».Una palestra di vita prima che sportiva quella ravennate, fatta anche di rinunce. «Dopo la maturità al Liceo Scientifico mi sono trovato a un bivio: proseguire con l’Università o fermarmi. Mio padre è un medico, così stavo per iscrivermi a Medicina, ma assieme a mia madre mi dissero: “Giacomo, datti 2-3 anni di tempo, se ce la fai con la pallavolo bene, altrimenti punti tutto sullo studio”. Credo che sia un discorso saggio che dovrebbero affrontare un po’ tutte quelle famiglie in cui il figlio è un potenziale talento dello sport, ma tanti di loro poi si perdono per strada e rimangono senza un pezzo di carta in mano, così il futuro diventa un enorme punto interrogativo». Il futuro di Jack invece ai tempi era certo e azzurro, come la maglia della Nazionale e il cielo d’estate della Marina ravennate. Le sue mani palleggianti vanno al servizio di Forlì, poi di Treviso, Perugia e Macerata. Nelle Marche si apre la “magica” stagione 2005-2006. «Sono gli anni in cui ho vinto scudetto, Coppa Cev e Supercoppa italiana con la Lube Macerata. E con la Nazionale di Montali conquistai l’oro agli Europei». Poi il trasferimento in quella che è diventata la sua città, Perugia. «È la città dove sono maturato come pallavolista diventando il regista titolare del Perugia Volley. Questa è anche la città di mia moglie Alessia e dove tre anni fa è nata la nostra piccola, Carolina». Tre cuori uniti e felici nel cuore verde d’Italia, fino al 1° giugno dello scorso anno, il giorno della drammatica diagnosi. «Dopo l’allenamento ho sentito un fitta alla scapola e al costato e ho capito subito che non si trattava del solito risentimento muscolare. Erano i segnali terribili del “linfoma non Hodgkin” che nel frattempo mi aveva fratturato una costola e continuava a lacerare le zone del corpo in cui si stava espandendo. Mi è crollato il mondo addosso...».Sette cicli di chemio, prima dell’autotrapianto di midollo al quale l’ha sottoposto lo staff di ematologia del Policlinico di Perugia sotto l’occhio attento di due luminari, il prof. Falini e il prof. Martelli. «Sono stati giorni durissimi in cui alla sofferenza della malattia si aggiungeva anche l’amarezza per la grande opportunità professionale persa: avevo pronto un contratto molto vantaggioso per andare a giocare nello Jastrzebski Wegiel, la squadra polacca allenata da Lorenzo Bernardi». Accordo sfumato e reso ancora più triste da un quotidiano di lotte continue contro il linfoma. «Un incubo, ma condiviso con tante persone che non conoscevo prima e con le quali giorno dopo giorno in ospedale si è creato un cameratismo incredibile... Molti di loro, tanti giovanissimi, purtroppo non ce l’hanno fatta a vincere questa sfida e per questo ora ho deciso di creare l’Associazione». È l’Associazione Giacomo Sintini che con l’aiuto del mondo dello sport cercherà di reperire più fondi possibili da destinare alla ricerca ematologica. «Vorrei andare nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi su queste malattie, entrare negli ospedali e parlare con tutte le persone che hanno avuto il mio stesso problema, per dirgli che per guarire bisogna mettercela tutta. Serve affidarsi alla medicina e per quanto mi riguarda, è stato fondamentale credere in qualcosa di molto più in Alto della rete di un campo di volley». Nei rari giorni dell’abbandono, a volte Jack ha alzato gli occhi al cielo e ha sussurrato: «Dio, se ci sei aiutami... Ho pregato tanto, ma sono sicuro che l’effetto più forte l’hanno avuto le preghiere e l’amore di tutte quelle persone che mi conoscono da anni e che mi vogliono bene. Oltre alla mia famiglia e a tutto il mondo della pallavolo, penso a don Giuseppe della comunità perugina del Rinnovamento dello Spirito, a don Francesco della nostra parrocchia di Castel del Piano e a don Domenico, il parroco di Villanova di Bagnocavallo. Io dentro al mio cuore sento che senza di loro sostegno costante non ce l’avrei mai fatta». E invece Jack ce l’ha fatta, ed ora è uscito dal tunnel della malattia. «Dei 18 chili persi ne ho già ripresi 9», dice orgoglioso e presto riprenderà ad allenarsi.«Ho riniziato a correre e vorrei giocare anche a calcio, magari con la “Life ” (la formazione dei colpiti da patologie oncologiche fondata dal dottor Nando Scalpelli, l’ex calciatore Flavio Falzetti e il presidente dell’Aic Damiano Tommasi). Come Antonio Cassano sono in attesa dell’idoneità agonistica e spero arrivi entro maggio, in modo da farmi trovare pronto all’inizio della prossima stagione. Sono sicuro che qualcuno mi vorrà ancora...». Magari potrebbe ricominciare dalla Polonia. «Sarebbe bello. Bernardi sa bene che dopo quest’ultima sfida mi sento più forte di prima. Oggi sono un uomo che non ha paura di nulla e che con l’aiuto di Dio e della mia famiglia, può ricominciare tutto daccapo».
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