Pieter Brueghel il Giovane, "Il pagamento delle tasse", 1620-1640 - USC Fisher Museum of Art/WikiCommons
La più pitagorica delle case editrici italiane si chiama Tetra e pubblica libri perfettamente quadrati, che escono a gruppi di quattro il 4 del mese al prezzo di 4 euro ciascuno. Nonostante la severità delle regole (sì, anche le regole sono quattro), il catalogo di Tetra è fra i più liberi che si possano immaginare.
Essendo ogni autore rappresentato da un unico testo (sarebbe la quinta regola, a dimostrazione che in letteratura i conti non devono quadrare per forza), quella che si sta componendo è una collezione di narrazioni brevi ma non brevissime, spesso corrispondenti alla misura classica della novella. Un po’ più di un racconto, molto meno di un romanzo, vale a dire quanto basta per distillare le caratteristiche essenziali di ciascuna scrittura, senza alcuna aggregazione o distinzione tra scuole o correnti. Vale la qualità della ricerca. Vale, più ancora, la disponibilità a sperimentare. Succede anche nel più recente dei quartetti di Tetra, nel quale troviamo riuniti Il bisogno e la necessità di Demetrio Paolin, Picnic a Kenwood House di Alessandro De Roma, Tipo psicanalisi di Marta Cai e Sedici passeggiate con Kuma di Dario Voltolini.
Procedendo a ritroso nel catalogo, ci si imbatte nei nomi di Paolo Zardi e di Loredana Lipperini, di Ilaria Gaspari e di Paolo Di Paolo, di Antonio Moresco e di Romana Petri, di Elisa Ruotolo e di Giulio Mozzi. Una piccola biblioteca che conta, al momento, ventiquattro volumi (il multiplo è prevedibile, lo si precisa solo per i distratti), rappresentativi nel loro complesso della qualità e della varietà della narrativa italiana contemporanea. Da qui il consiglio di regalare tre o quattro volumetti di Tetra al prossimo che si lamenta dell’omologazione nella letteratura di oggi.
Qui ci limitiamo a una campionatura minima, ridotta a un solo titolo, che è il già ricordato Il bisogno e la necessità di Paolin. Entrato nel 2016 tra i dodici concorrenti dello Strega con Conforme alla gloria e reduce dal doloroso tour-deforce di Anatomia di un profeta (entrambi i libri sono editi da Voland), Paolin è uno scrittore indocile, che nasconde la sua vocazione di irrevocabilità sotto la coltre di una prosa accurata fino alla dolcezza apparente.
Fatti e parole si sedimentano con lentezza, accerchiando il lettore in modo quasi amichevole. Quando poi l’evento terribile si manifesta in tutta la sua evidenza, è troppo tardi per mettersi al riparo e bisogna fare i conti con la dura consistenza morale della poetica di Paolin. Che è poetica di dichiarata matrice biblica non solo in Anatomia di un profeta, visionaria esegesi del Libro di Geremia, ma pressoché in ogni pagina o, almeno, in ogni situazione.
Ecco allora che Antonio, il protagonista di Il bisogno e la necessità, si rivela presto nella sua natura di Giobbe contemporaneo, che sembra volersi gettare a capofitto nelle spine della persecuzione. Abituato com’è a destreggiarsi tra aliquote e contratti a causa del suo mestiere di sindacalista, per diversi anni di seguito Antonio ha trascurato di presentare la dichiarazione dei redditi, accumulando un debito fiscale che ha come prima conseguenza la fine di un matrimonio già vacillante. L’impiegato che prende in carico la pratica fa di tutto per dimostrarsi conciliante, ma non c’è niente da fare: la cifra da pagare rimane la stessa.
Più che altro, «la colpa sopravvive, la vergogna della colpa sopravvive », come si ripete Antonio nell’incessante monologo interiore che è la sostanza stessa dell’apologo. Per fare fronte alle proprie necessità, non trova altro modo che sfruttare i bisogni degli altri, avventurandosi nel territorio della stessa illegalità che dovrebbe combattere. Un tipico dispositivo tragico, che Paolin conduce con controllata determinazione fino all’inevitabile epilogo, improvvisamente visitato da un’ulteriore risonanza biblica. Segno che Giobbe da solo non basta, e neppure i profeti bastano. Per salvarsi c’è bisogno della croce.