Attenzione, abbiamo scoperto che per i corridoi di via Rosellini, si aggira uno “special one” è il presidente della Lega di Serie B Andrea Abodi. Romano 50enne, un esperto di economia dello sport, prestato al calcio che gioca molto di testa. E in testa ha due mission che finora nella palude del sistema pallonaro sembravano impossibili, «un calcio a dimensione umana» e un «patto di rilancio di tutto il movimento nella sua globalità».
Idee che suonano nuove come il suo volto nel conservatorismo del Palazzo di cuoio... «So di essere un piacevole incidente di percorso. Non è un mistero che la mia elezione abbia sorpreso molti, anche perché la mia candidatura è maturata dalla base e di questo vado estremamente fiero».
Che conseguenze ci sono state con la scissione dalla Lega di Serie A?«Sono arrivato a separazione già consumata, ma è stato un distacco indolore. Dividersi per la Lega di B ha significato voltare pagina, comprendere le proprie peculiarità: rimanere sì una categoria assistita dalla Serie A, ma non più calata in una dimensione di pernicioso assistenzialismo. Inoltre, finita l’era delle conflittualità e la politica dei piccoli orticelli, ora si lavora sulla cooperazione. Se la massima serie alza il suo profilo e cresce in qualità, non va più valutato solo come un aumento del divario con le altre Leghe, ma come la possibilità di arricchire l’intero “Sistema”».
La nuova B quindi ora è più autonoma anche dal punto di vista finanziario?«La Serie A, attraverso le scommesse sportive in grandissima parte di matrice calcistica, contribuisce indirettamente a finanziare tutto lo sport italiano. E la massima serie ridistribuisce all’interno del sistema-calcio anche il 10% dei diritti televisivi, con una mutualità che contribuisce al 65% dei ricavi della Serie B. Un altro dei nostri obiettivi è quello di generare da soli oltre il 50% delle entrate».
Gira che ti rigira siamo sempre a parlare di bilanci e di conti che devono tornare molto prima dei risultati sportivi.«Sbagliato. Abbiamo una sensibilità a 360 gradi all’interno del- la Lega di B, dalle infrastrutture ai finanziamenti, dal marketing alla parte tecnico-sportiva. Non esiste un elemento o una singola progettualità al centro della quale non ci sia l’elemento per me fondante: la “Persona”. L’accezione “persona di serie B” che viene usata come dispregiativo, l’abbiamo ribaltata nell’inglesismo fonico “Be” ovvero “essere” che è l’input da cui sta nascendo la Fondazione B Solidale.
La “povera” B, rispetto alla ricchissima Serie A, disporrà di una Fondazione che mira alla solidarietà?«Il calcio per il sociale fa molto, ma a volte disperde le risorse, perciò noi abbiamo scelto di seguire dei progetti mirati, come con la Caritas con la quale abbiamo collaborato nel 2010 in occasione dell’Anno della Povertà e proseguiremo anche in questa stagione che segna l’Anno del Volontariato. Poi dal campionato 2011-2012 ci concentreremo su cinque progetti in altrettante categorie: l’infanzia, la terza età, la diversa abilità, la ricerca scientifica, l’emarginazione sociale. Progetti che seguiremo dall’inizio alla fine. Così come continueremo a perseguire anche in campo le tre progettualità principali che abbiamo prefissato».
E quali sarebbero le tre progettualità di base?«La giovane età dei nostri calciatori, la loro italianità e il radicamento al territorio. Rispetto alla passata stagione abbiamo abbassato l’età media dei calciatori di sei mesi (25 anni e 11 mesi). L’81% delle rose sono composte da giocatori italiani (10 convocati nell’Under 21) e questo non è una discriminante, perché nell’italianità rientrano anche quei tanti ragazzi di origini extracomunitaria che sono nati e cresciuti nel nostro Paese. Il rapporto diretto tra una società calcistica e il suo territorio è molto importante per creare una dimensione al- largata dello stadio».
Sì, però intanto anche in B si vedono delle tribune che sembrano il deserto dei Tartari.«Questo dipende da un processo di “televisionizzazione”, ma anche da una problematica che io definirei di atmosfere poco attraenti e rassicuranti dovute a stadi che per l’80% sono stati costruiti negli anni ’40 del secolo scorso, molti dei quali, pur mantenendo un certo fascino storico, sono inadeguati e andrebbero ristrutturati o ricostruiti. Nonostante tutto, la media delle presenze (5.136 spettatori) è in linea con la passata stagione. E dalla Tv arriva un più 44% di ascolti e una crescita abbonati Sky e Dahlia molto significativa, a dimostrazione di un interesse sempre maggiore per il nostro campionato».
Ma non si era detto “troppe partite in tv” e che l’obiettivo era riportare i bambini e le famiglie allo stadio?«Noi stiamo elaborando un progetto che abbiamo denominato “100mila ragazzi allo stadio”, con lo stadio che entra nella scuola e viceversa. Per noi lo stadio del futuro non sarà più solo un impianto, ma un luogo dove confrontarsi e formarsi su questioni ambientali (produzione e consumo di energie rinnovabili e smaltimento differenziato dei rifiuti), sulle eccellenze agroalimentari del territorio che il club calcistico rappresenta degnamente. Il calcio è una risorsa culturale ed è anche per questo che stiamo partendo con una convenzione con i Beni Culturali perché possano accedere ai musei di tutt’Italia gli abbonati e chi è in possesso della “tessera del tifoso” delle squadre di Serie B».
Ma in B sta funzionando la “tessera del tifoso”?«Va migliorata, perché da strumento di mero controllo, si arricchisca di contenuti positivi che la rendano attraente a tutti gli effetti. È quello che noi stiamo facendo, con lo sviluppo del nuovo modello di marketing associativo che va in questa direzione. L’auspicio è che tutte queste iniziative contribuiscano anche alla costruzione di una vera cultura sportiva».
Termine che rimbalza spesso,“cultura sportiva”, ma di cui nessuno sa mai dare una spiegazione convincente.«La cultura sportiva potrebbe essere sintetizzata in una singola parola: “rispetto”. Rispetto per gli avversari, per se stessi, per le regole e per chi è chiamato a farle rispettare prima di tutto. Spesso, tra i giocatori, i tecnici e i dirigenti si riscontra un deficit di conoscenza perfino delle regole del gioco. Perciò abbiamo deciso con l’Associazione Italiana Arbitri e la Can B di intensificare gli incontri con le società per sanare questi vuoti culturali con un’opera capillare di informazione ».
La prossima settimana si discuterà di riforma dei Campionati. Si va verso un nuovo assetto?«Mi auguro di sì, con la riduzione della B a 20 squadre (stop ai ripescaggi e vecchia Serie C a 60 squadre). Il nostro torneo non avrà più turni infrasettimanali e continuerà a disputarsi al sabato. Il sabato del villaggio ormai è quello della B e tornare alla domenica vorrebbe dire scomparire. Mentre noi puntiamo ad “essere”. Essere sempre più visibili e crescere insieme ai grandi e ai più piccoli del nostro calcio».