Forse non sarà andato in giro a suonare agli angoli delle strade o nei mezzanini della metropolitana sperando in qualche centesimo gettato lì generosamente dai passanti. Non si sarà messo in coda insieme a migliaia di coetanei per un provino tv come fanno oggi molti giovani che sognano un futuro nella musica. Di certo, però, per la musica Franz Joseph Haydn ha fatto di tutto. Anche la fame. «Nato ai bordi di periferia», sembra quasi di sentire una canzone degli anni Ottanta leggendo la vita del musicista di cui oggi si celebrano i 200 anni della morte. Nato a Rohrau, villaggio austriaco ai confini con l’Ungheria, in una famiglia con modeste possibilità – il padre era carraio, la madre cuoca – il piccolo Franz Joseph mostra da subito un grande talento musicale tanto da convincere i suoi a mandarlo a studiare presso un parente ad Hainburg. Ha solo sei anni e impara a suonare il clavicembalo e il violino, ma anche a guadagnarsi da vivere cantando nel coro della chiesa. Due anni e arriva il colpo di fortuna. Georg von Rutter, direttore musicale del Duomo di Vienna, nota l’X Factor del piccolo Franz Joseph e lo porta nella capitale dove, però, le cose non vanno meglio che in periferia. Abbandonato il coro si inventa un modo per far fruttare economicamente il suo talento: suona a feste private, canta serenate, scrive minuetti, brani che al tempo andavano per la maggiore e che oggi definiremmo da hit parade. Basterebbe fermarsi qui – senza raccontare di come, assunto a tempo pieno come maestro di cappella dalla famiglia Esterhazy, una delle più potenti dell’impero austriaco, poté affinare il proprio stile scrivendo musica quotidianamente o di come quando, ormai in pensione, andò in Inghilterra per confrontarsi con un altro modo di comporre – per dire come il compositore, nato nel 1732 e morto esattamente duecento anni fa, possa essere tranquillamente un coetaneo di tanti ragazzi di oggi. Basterebbe questo per dire che forse, un po’ più di coraggio non avrebbe guastato in questo anniversario. Non che manchino concerti, maratone haydniane, convegni di studi, uscite discografiche ( la più imponente una Haydn editon con 150 cd a raccogliere l’opera omnia del musicista), intendiamoci, ma l’impressione è che non si sia voluto rischiare troppo. Forse perché anche la musica deve fare i conti con le mode tanto che anche gli anniversari importanti sono più o meno celebrati a seconda se le quotazioni di questo o quel compositore risultino in rialzo (il Barocco ultimamente va per la maggiore) o caratterizzate da un segno negativo (certi grandi del Novecento – leggi Messiaen, nato nel 1908 – spesso faticano a sfondare). Emblematico il caso di questo 2009 nel quale si ricordano gli anniversari di Mendelssohn, Händel, Haydn e Purcell. Gettonatissimo Händel con opere in cartellone nei maggiori teatri e rarità che spuntano nelle rassegne concertistiche più prestigiose. Meno fortunati Mendelssohn e soprattutto Haydn. Eppure di materiale ce ne è in quantità: 104 sinfonie, un’ottantina di quartetti per archi, 62 sonate per pianoforte, 14 opere, quattro oratori e centinaia di partiture di musica da camera. Non solo perché, oltre ad aver 'inventato' il quartetto d’archi e ad aver contribuito alla fortuna del genere sinfonia, Haydn è stato un raffinato autore di musica sacra: il suo catalogo conta 14 messe, pagine come Salve Regina, Stabat Mater e Te Deum e quel capolavoro che sono Le ultime sette parole del nostro Redentore in croce, partitura nella quale Haydn racconta con intensità e partecipazione la scena del Calvario. Già, perché il musicista austriaco era animato da una grande fede (che fa leggere sotto una luce ben precisa la sua vita e le sue scelte) tanto da siglare le sue composizioni con l’espressione Laus Deo. Una forza che gli consentì di affrontare a testa alta gli ultimi anni della sua vita quando la ma-lattia gli impedì di comporre musica. E, narra la leggenda, le sue ultime parole furono per tranquillizzare gli amici durante l’assalto a Vienna delle truppe napoleoniche.