domenica 31 maggio 2009
Da povero cantore a gigante della composizione Animato da profonda fede scrisse capolavori come «Le sette ultime parole»
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Forse non sarà andato in gi­ro a suonare agli angoli del­le strade o nei mezzanini della metropolitana sperando in qualche centesimo gettato lì ge­nerosamente dai passanti. Non si sarà messo in coda insieme a migliaia di coetanei per un pro­vino tv come fanno oggi molti giovani che sognano un futuro nella musica. Di certo, però, per la musica Franz Joseph Haydn ha fatto di tutto. Anche la fame. «Nato ai bordi di periferia», sem­bra quasi di sentire una canzone degli anni Ottanta leggendo la vi­ta del musicista di cui oggi si ce­lebrano i 200 anni della morte. Nato a Rohrau, villaggio austria­co ai confini con l’Ungheria, in una famiglia con modeste pos­sibilità – il padre era carraio, la madre cuoca – il piccolo Franz Joseph mostra da subito un grande talento musicale tanto da convincere i suoi a mandar­lo a studiare presso un parente ad Hainburg. Ha solo sei anni e impara a suonare il clavicemba­lo e il violino, ma anche a gua­dagnarsi da vivere can­tando nel coro della chiesa. Due anni e arri­va il colpo di fortuna. Georg von Rutter, diret­tore musicale del Duo­mo di Vienna, nota l’X Factor del piccolo Franz Joseph e lo porta nella capitale dove, però, le cose non vanno meglio che in periferia. Abbandonato il coro si inventa un modo per far frutta­re economicamente il suo ta­lento: suona a feste private, can­ta serenate, scrive minuetti, bra­ni che al tempo andavano per la maggiore e che oggi definirem­mo da hit parade. Basterebbe fermarsi qui – senza raccontare di come, assunto a tempo pieno come maestro di cappella dalla famiglia Esterhazy, una delle più potenti dell’impe­ro austriaco, poté affinare il pro­prio stile scrivendo musica quo­tidianamente o di come quan­do, ormai in pensione, andò in Inghilterra per confrontarsi con un altro modo di comporre – per dire come il compositore, nato nel 1732 e morto esattamente duecento anni fa, possa essere tranquillamente un coetaneo di tanti ragazzi di oggi. Basterebbe questo per dire che forse, un po’ più di coraggio non avrebbe gua­stato in questo anniversario. Non che manchino concerti, marato­ne haydniane, convegni di stu­di, uscite discografiche ( la più imponente una Haydn editon con 150 cd a raccogliere l’opera omnia del musicista), intendia­moci, ma l’impressione è che non si sia voluto rischiare trop­po. Forse perché anche la musi­ca deve fare i conti con le mode tanto che anche gli anniversari importanti sono più o meno ce­lebrati a seconda se le quotazio­ni di questo o quel compositore risultino in rialzo (il Barocco ul­timamente va per la maggiore) o caratterizzate da un segno nega­tivo (certi grandi del Novecento – leggi Messiaen, nato nel 1908 – spesso faticano a sfondare). Emblematico il caso di questo 2009 nel quale si ricordano gli anniversari di Mendelssohn, Händel, Haydn e Purcell. Getto­natissimo Händel con opere in cartellone nei maggiori teatri e rarità che spuntano nelle rasse­gne concertistiche più prestigio­se. Meno fortunati Mendelssohn e soprattutto Haydn. Eppure di materiale ce ne è in quantità: 104 sinfonie, un’ottantina di quar­tetti per archi, 62 sonate per pia­noforte, 14 opere, quattro orato­ri e centinaia di partiture di mu­sica da camera. Non solo perché, oltre ad aver 'inventato' il quar­tetto d’archi e ad aver contribui­to alla fortuna del genere sinfo­nia, Haydn è stato un raffinato autore di musica sacra: il suo ca­talogo conta 14 messe, pagine come Salve Regina, Stabat Ma­ter e Te Deum e quel capolavoro che sono Le ultime sette parole del nostro Redentore in croce, partitura nella quale Haydn rac­conta con intensità e partecipa­zione la scena del Calvario. Già, perché il musicista austriaco e­ra animato da una grande fede (che fa leggere sotto una luce ben precisa la sua vita e le sue scelte) tanto da siglare le sue composi­zioni con l’espressione Laus Deo. Una forza che gli consentì di af­frontare a testa alta gli ultimi an­ni della sua vita quando la ma-­lattia gli impedì di comporre mu­sica. E, narra la leggenda, le sue ultime parole furono per tran­quillizzare gli amici durante l’as­salto a Vienna delle truppe na­poleoniche.
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