Il primatista sudsudaenese dei 1500 metri, Abraham Guem, 22 anni - .
«Torneremo in Sud Sudan con una mentalità totalmente differente da quella con cui siamo partiti. Non sarà facile influenzare la nostra società, ma faremo il possibile per dimostrare, soprattutto ai più giovani, come un futuro fatto di pace e integrazione sia possibile, anche nel nostro paese».
Così racconta il 22enne Abraham Guem, alla vigilia delle Olimpiadi di Tokyo. Atleta di primissimo livello, originario del Sud Sudan, primatista nazionale sui 1500 metri, arrivato, nel paese del Sol Levante, nel novembre del 2019, insieme ad altri 3 colleghi ed il coach Joseph Omirok, grazie ad un programma di cooperazione tra il giovanissimo stato dell’Africa Orientale e il Giappone.
«Prima di arrivare qui la mia vita era particolarmente dura. Percorrevo 17 km per raggiungere il campo d’allenamento e spesso non potevo permettermi più di un singolo pasto al giorno» continua Abraham, raccontando una storia tanto unica quanto, per certi aspetti, corale e collettiva. Grazie ad una raccolta fondi organizzata dagli abitanti della città di Maebashi, da sempre in prima linea nel supporto e nell’assistenza ai paesi in via di sviluppo, ed il sostegno di aziende del calibro di Mizuno e Uniqlo, sono stati raccolti circa 250 mila dollari. Somma sufficiente per garantire, agli atleti ed al tecnico, 3 pasti giornalieri, corsi di giapponese ed, ovviamente, anche un alloggio in strutture federali.
«Il popolo giapponese non ha fatto altro che supportarci in maniera esemplare, dal giorno del nostro arrivo a Maebashi. Sarò loro eternamente riconoscente: non potrò mai dimenticare quello che hanno fatto per noi». Ricorda con un pizzico di commozione l’allenatore della nazionale olimpica sud sudanese, Joseph Omirok che, in più di un’occasione, ha sottolineato come preparare le Olimpiadi in Africa Orientale sia praticamente impossibile per la totale mancanza di assistenza statale, sotto tutti i punti di vista. «In patria abbiamo esclusivamente piste di sabbia. Potete immaginare quanto sia meglio allenarsi altrove…».
Shinya Tomonari, uno dei principali rappresentanti della JICA ( Japan International Cooperation Agency) agenzia governativa giapponese che promuove la cooperazione internazionale, ha dichiarato: «Il nostro augurio è che lo sport possa giocare un ruolo fondamentale nel promuovere la pace, anche nelle nazioni martoriate da conflitti e povertà ». Di certo nel Sud Sudan, lo sport rappresenta, più che mai, una via di fuga da una realtà quantomeno tragica. La Repubblica dell’Africa Orientale è stata colpita con violenza dal Covid-19: le persone bisognose di assistenza rappresentano circa l’83% della popolazione e la gestione della campagna vaccinale rimane problematica.
Sono finite le scorte di AstraZeneca arrivate dalle Nazioni Unite con conseguente chiusura dei centri vaccinali del paese, tutti localizzati nella capitale Juba. Secondo il ministero della Sanità, ad oggi, in Sud Sudan, sono state vaccinate solo 50mila persone con la prima dose e 4mila con entrambe quelle necessarie: una piccola, insignificante minoranza numerica in un Paese di dieci milioni di abitanti. «Non posso fare promesse, sarò in competizione con atleti con tempi decisamente migliori dei miei, ma lotterò con tutte le mie forze per raggiungere la finale. Lo devo al mio paese» conclude orgogliosamente Abraham Guem.