Le prime prove di scrittura, il sentimento del tempo, la voce misteriosa e «ardimentosa» alla quale anche nel dramma non si può non dare del Tu (maiuscolo, e non a caso), la sorpresa del bene che si nasconde «nell’altro». Anzi: «nel diverso». Sono le tappe lungo le quali si snoda il percorso degli inediti di Sergio Zavoli pubblicati in questa pagina. Messi generosamente a disposizione dalla moglie Alessandra nel primo anniversario della morte dell’autore, avvenuta a Roma il 4 agosto 2020 (Zavoli era nato a Ravenna il 21 settembre 1923), questi brevissimi testi possono essere considerati come le primizie di un più ampio lavoro di ricognizione e valorizzazione dei materiali privati appartenenti al grande cronista. Un patrimonio di taccuini, quaderni e appunti sparsi in qualche modo contiguo al «diario in pubblico» che Zavoli aveva tenuto nel 2015 su Avvenire e che è ora disponibile in un volume della collana “Pagine prime”, realizzata da Vita e Pensiero in collaborazione con il nostro quotidiano. Già in Prima dei fatti (questo il titolo del libro, arricchito dagli interventi di Rosita Copioli, del direttore di Avvenire Marco Tarquinio e del cardinale Gianfranco Ravasi) lo stile oscilla tra l’acutezza dell’aforisma e la controllata melanconia del ricordo. Sono le stesse qualità che si ritrovano adesso in questi frammenti, che non meno di Prima dei fatti rimandano alla dimensione che più di ogni altra ha caratterizzato l’estrema maturità di Zavoli. Maestro riconosciuto del reportage radiofonico e televisivo, a suo agio tra le mura di un convento (si pensi al memorabile Clausura del 1958) così come al Giro d’Italia ( Processo alla tappa rimane una delle sue trasmissioni più famose), intervistatore abilissimo e storico equilibrato del presente ( La notte della Repubblica, in onda tra il 1989 e il 1990, fornisce una ricostruzione ancora oggi fondamentale per la comprensione degli Anni di Piombo), a partire dal 1995 Zavoli era uscito allo scoperto con una serie di raccolte poetiche alle quali si aggiungerà presto il libro di versi al quale stava lavorando negli ultimi tempi. Il tempo di scordare (annunciato da Rizzoli per settembre con una prefazione di Walter Veltroni) sembra operare un ribaltamento di tematiche, affidando allo scorrere del tempo non tanto la permanenza della memoria, ma la volatilità dell’oblio. In realtà, a entrare in azione è una delle categorie fondamentali nella riflessione poetica di Zavoli, quella della vitale incertezza dello sguardo, sempre conteso tra «l’orlo delle cose» e «l’infinito istante», per citare due dei suoi titoli più sintomatici. Verrebbe da dire che, se da giornalista si è attenuto al criterio della chiarezza, in poesia Zavoli ha coltivato una predilezione per l’ombra, tanto da scegliere la parola come emblema di due raccolte uscite a neppure dieci anni di distanza l’una dall’altra ( La parte in ombra nel 2009 e La strategia dell’ombra nel 2017). Ma una contrapposizione del genere non renderebbe giustizia alla complessità di una vicenda umana e intellettuale che è sempre rimasta disponibile e inquieta alle istanze della fede. È una ricerca interiore che trova sì la sua espressione più compiuta nelle poesie e pure non risulta estranea all’intensa indagine condotta da Zavoli con gli strumenti dell’approfondimento giornalistico o dell’analisi saggistica. Anche per questo, fra i termini che ricorrono nei piccoli inediti ora offerti ai lettori di Avvenire, quello che più colpisce è l’apparentemente innocuo “segni”. I segni non vanno mai trascurati, ricorda Zavoli parlando delle proprie ambizioni infantili, ma tutto può diventare segno o essere interpretato come tale, dato che ogni evento si colloca «all’ombra di una vista sconosciuta». Ecco perché l’eventualità della «punizione » si stempera nella consapevolezza del «bene» di cui l’«altro» è custode. Ed è in questa «nascita dei confronti» che il segno rivela finalmente qualcosa del proprio segreto.
Gli inediti
A quattro anni, mi hanno raccontato, copiavo la prima pagina del Corriere della Sera; i segni, ovviamente quelli più evidenti e per me suggestivi. Poi a 18 anni mi sono visto pubblicare un pezzo, si fa per dire, sul Corriere Padano: «È caduta la prima neve». Non significa granché, ma può essere il segno di qualcosa.
Mai trascurare i segni.
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Il tempo non gode di se stesso, non sa dove è, e se ancora è nel passato o nel presente. Forse guarda il suo volto non saprebbe mai dove fermarsi a vivere da fermo senza vita, all'ombra di una vita sconosciuta.
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E Tu voce ardimentosa in cui divaga la pretesa natura d'essere il centro del pensiero umano, ci hai sorpreso nella nostra indocile baldanza, rovesciandoci addosso la punizione.
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Nei convincimenti fortissimi, c'è anche il riconoscimento del bene che sta nell'altro. Nel diverso. Sarà la nascita dei confronti: il resto lo sapremo più avanti.