giovedì 2 gennaio 2020
Una biografia di Prignano rivaluta la figura di Papa Cossa eletto nel 1410 in pieno scisma d’Occidente e deposto nel 1415, che scelse di rinunciare a ogni velleità per il bene della Chiesa
Firenze, Battistero di San Giovanni, particolare del monumento funebre a Baldassarre Cossa, l’antipapa Giovanni XXIII, realizzato da Donatello e Michelozzo (1426-1427)

Firenze, Battistero di San Giovanni, particolare del monumento funebre a Baldassarre Cossa, l’antipapa Giovanni XXIII, realizzato da Donatello e Michelozzo (1426-1427)

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Sono ancora molti i visitatori che, magari sagacemente ingannati da una guida in vena di sorprenderli e soccorsi nella decifrazione di una lapide sepolcrale, sobbalzano dinanzi al sarcofago di Giovanni XXIII nel battistero di Firenze: e bisogna spiegar loro che quello è Baldassarre Cossa, non Angelo Roncalli; che è un prelato del Tre-Quattrocento, non del Novecento; che è lì non perché fosse fiorentino, era, anzi, napo-letano, ma amico di Giovanni di Bicci de’ Medici, il padre di Cosimo il Vecchio; e infine ch’è stato legittimamente papa, per quanto poi escluso, dopo la sua abdicazione, dalla sequenza ordinaria dei pontefici romani, e che infine quel bislacco titolo, 'antipapa', non ha di per sé nulla di blasfemo né di demoniaco, che molti santi uomini lo portarono, e significa soltanto papa la legittimità del quale per un qualche motivo non aveva retto ai criteri di legittimità formale sulla base dei quali si riconosce legittimo l’uso dell’autorità pontificia indipendentemente da come venne esercitato.

È di fatto ben noto che vi furono papi formalmente legittimi e nonostante ciò riprovevoli e altri, legittimi e ineccepibili, che si videro in vita o in morte privati delle insegne di successori di Pietro. Il libro di Mario Prignano, Giovanni XXIII. L’antipapa che salvò la Chiesa (Brescia, Morcelliana, 2019), è intenzionalmente paradossale e al tempo stesso apologetico nei confronti del personaggio biografato. Ma paradosso e apologia si fermano, appunto, al titolo. Siamo dinanzi a un’indagine storica ampia e accurata: del resto il sigillo di una prefazione di pugno del grande cardinale Walter Brandmüller, la competenza del quale nei problemi della Chiesa tra medioevo e Rinascimento è nota almeno quanto lo è il rigore nella difesa dell’ortodossia e dell’unità della Chiesa, è garanzia di quel che il lettore si accinge a leggere. Va detto subito che questo libro, a onta del taglio rigorosamente cronologicotematico e d’una prosa sempre efficace e sorvegliata, non è un libro facile: e nulla concede a certe moderne mode storiografiche le quali - pur rimanendo serie e attendibili - indulgono a qualche sollecitazione 'attualizzante'.

Qui siamo davanti a una rigorosa biografia all’antica, refrattaria a sacrificare la problematica al racconto e viceversa: una biografia che impegna il lettore, che non gli fa sconti. Ed è appunto Brandmüller a ricordarci che si tratta di un personaggio tutto sommato trascurato dagli studiosi - l’ultima sua biografia è vecchia più di un secolo - e a rivelarci altresì che il biografo è 'connesso' al biografato da qualcosa che evidentemente è più di una coincidenza: Mario Prignano è difatti un discendente di quel cardinal Bartolomeo Prignano che divenne papa col nome di Urbano VI; e che, di mezzo secolo più vecchio del Cossa, ne era tuttavia altresì concittadino.

Napoletani entrambi: e non è ciò cosa di poco momento poiché la Napoli del Tre-Quattrocento era una delle più belle e colte capitali d’Europa: e lo sarebbe rimasta - è bene ricordarlo - fino all’Ottocento. Non c’è apologia nelle pagine del Prignano, ma rispetto e volontà di ristabilire il vero e il giusto, cosa che non contrasta certo col dovere di equità e di onestà intellettuale dello storico. In effetti egli sceglie come fonte-guida del suo racconto (non senza averla sottoposta a verifica) l’autorevole voce del cardinal Guillaume Fillastre, il quale insieme a Pierre d’Ailly fu il responsabile del fallimento di Giovanni XXIII nel suo tentativo (che vi fu) di restare sul trono pontificio, ma che ne riconobbe i meriti nell’aver impedito, deponendo ogni forma di superbia e di ostinazione, che il cosiddetto 'Grande Scisma' della Chiesa, che perdurava dal 1378, perdurasse oltre il concilio convocato a Costanza nel 1415, per volontà anche sua, potesse ulteriormente continuare.

La novità proposta dal Prignano consiste nell’aver preferito una fonte peraltro tutto meno che intenzionalmente partigiana a un’altra, quella ricchissima, stracolma di particolari e quindi a prima vista più convincente del funzionario di curia Teodorico di Niem che al Cossa era platealmente ostile e che ne aveva fatto, per così dire, una specie di precursore nel vizio di Alessandro VI (del resto, la storiografia più seria ha da tempo fatto giustizia anche dei giudizi malevoli quando non addirittura delle calunnie sparsi attorno a papa Borgia da una critica storica malevola come quella di Ferdinand Gregorovius e quindi pigramente o scorrettamente trascinatisi per decenni).

Così rinnovata, la vicenda politica e religiosa di papa Giovanni si presenta come quella, a vivaci colori, di un protagonista del suo tempo, il tormentato e complesso primo Quattrocento: e l’autore si guarda costantemente dall’addolcire le tinte o dall’abbellire il quadro d’un’età dura e spietata. Certo il Cossa era stato uomo d’arme e governatore militare prima di divenire uomo di Chiesa; e certo non era disinteressato al potere né incline a lasciarselo facilmente strappare di mano. Si tacerebbe il vero se si negasse che Prignano ami il quadro colorato, che non gli piacciano i colori forti delle immagini di guerra e di folla e quelli cupi del complotto e dell’orrore.

Egli è perfino incline (un espediente dal quale gli storici di solito rifuggono) a trasferire il suo racconto in termini di discorso diretto, facendo sì che la sua prosa aumenti di fascino ma ampliando esponenzialmente il pericolo di forzare e in ultimo di falsare le fonti. Particolarmente efficaci risultano le pagine dedicate ai difficili rapporti con Ladislao di Napoli e poi col re dei romani Sigismondo del Lussemburgo, più tardi imperatore; e commoventi, quasi trascinanti, quelle dedicate alla figura e al martirio di Giovanni Hus. Illuminanti poi per tutto quel che riguarda la storia dell’umanesimo da una parte, della corte pontificia dall’altra, del rapporto tra religione, potere, finanza e politica da un’altra ancora, le ampie e articolate notizie sui rapporti tra papa Cossa e il banchiere e mercante Giovanni de’ Medici: colui che convinse papa Cossa, per il bene della Chiesa, a farsi da parte (restò comunque cardinale) in modo da sciogliere il nodo creato dallo scisma e poter accedere al concilio di Costanza che avrebbe rinnovato la Chiesa e anche aperto il breve esperimento conciliare nella vita del pontificato. In quelle intricate vicende di prestiti, di svalutazione, di artifici ma anche di rapporti umani risiede la chiave per intendere anche le vicende dei secoli successivi: la fortuna dei Medici come banchieri pontifici, il rapporto triangolare fra Roma, Firenze e Venezia, perfino i presupposti di una delle più cupe tragedie del Quattrocento, la congiura dei Pazzi.

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