Il compositore Giacomo Puccini
Si è molto dibattuto, in questi decenni, sulla religiosità e la spiritualità nelle opere di Giacomo Puccini. Negli ultimi anni poi esperti e studiosi hanno indagato sulla religiosità e la spiritualità dell’uomo Giacomo Puccini. Di questo parlava, qualche tempo fa, il giornalista Oriano De Ranieri nel suo documentato saggio La religiosità in Puccini (Zecchini editore). Certo, è inutile fare facili agiografie, Puccini non fu un fervente cattolico, ma ebbe sempre un forte spirito cristiano.
Uomo aperto e senza schemi precostituiti, ebbe molti amici ecclesiastici. A uno, in particolare, fu legato da una lunga amicizia. Si tratta di don Pietro Panichelli, lucchese di Pietrasanta, «pazzo per la musica e i musicisti». Appartenente all’ordine domenicano, alla fine del XIX secolo, Panichelli viveva a Roma e frequentava il fornitissimo negozio di Casa Ricordi. Qui, il 29 novembre 1897, vide entrare un signore elegantemente vestito: Giacomo Puccini. Fu presentato dal commesso del negozio Orlando Virgili: «Maestro, questo è don Pietro Panichelli, famoso perché bazzica più i teatri che le chiese». Puccini sorrise e quando seppe che il prelato era di Pietrasanta gli disse: «Il paese degli ulivi e dei ponci...». «E dei moccoli! », aggiunse Panichelli.
Invitato a un’esecuzione domenicale della Bohéme al teatro Argentina, Panichelli divenne ben presto intimo di Puccini. Lo accompagnò personalmente a una rappresentazione di Manon Lescaut e nelle eleganti salette del Caffè Aragno. In quel periodo, Puccini stava lavorando a Tosca e chiese a Panichelli una serie di “consulenze tecniche”. Nemmeno un mese dopo la loro conoscenza, infatti, il Maestro, che voleva un Te Deum fedele all'uso romano, si rivolse a Panichelli che gli trasmise la trascrizione musicale del canto, e successivamente l'esatta intonazione della campana grande di San Pietro per l’Ave Maria nel preludio del terzo atto.
Ma le richieste di Puccini non finirono lì. Poche settimane dopo aveva bisogno di «alcuni versi che deve cantare il pastorello mentre pascola le pecore nei prati che circondavano Castel Sant’Angelo». In quell’occasione Panichelli contattò l’amico Gigi Zanazzo, animatore del periodico “Rugantino”. Nell’agosto del 1898 Puccini gli scriveva: «io lavoro a Tosca e sudo dal caldo e dalle difficoltà che incontro». Poi descriveva l’imponente finale del primo atto, «ho bisogno per un effetto fonico di far recitare preci al passaggio dell’abate e del capitolo». Tempo dopo, Puccini chiedeva l’ordine della processione e l’esatta divisa delle guardie svizzere del tempo. Per l’ordine del corteo, Panichelli si rivolse al cerimoniere pontificio monsignor Togni, per le divise trovò da un rigattiere alcune stampe a colori. Le numerose richieste ci confermano quanto Puccini fosse meticoloso nel suo lavoro. Intanto, nel 1899 Panichelli era stato nominato direttore della Cappella di Canto Gregoriano a Santa Maria in Via Lata del Corso.
Nel dicembre di quell’anno, tornato a Pietrasanta per trovare i genitori, fu invitato a casa Puccini a Torre del Lago. Una giornata di pioggia e vento. Il prete, avvolto nel suo tabarro, vide spuntare il musicista dalla palude, il fucile a tracolla, un cappellaccio piumato e mezzo toscano tra i denti. A tavola, Panichelli gli chiese: «Credi in Dio?». Puccini, sorpreso da quella domanda a bruciapelo, gli rispose: «Che discorsi! Perché non debbo crederci. Credo anche a Cristo, ma un po’ a modo mio, e non del tutto a modo vostro». Iniziò così una bella e serena discussione, mentre fuori imperversava la tempesta. Puccini rimpiangeva la fede genuina di sua madre e dei suoi avi, e prima di salutare il suo “pretino” gli mormorò: «Ridammi la fede. Ormai non la sento più, perché la fede non si improvvisa né si compra. Si sente». Qualche anno dopo, in occasione della morte della madre di Panichelli, gli scriverà: «Che cos’è la morte? Un salto nel buio e buonanotte. Meglio se questo buio avesse luce. Allora potrebbe essere anche una gioia».
Ultimata Tosca , Panichelli fu invitato alla prova generale. Puccini assisteva in una poltrona di quarta fila, fumando accanitamente. Dopo la prima, il 17 gennaio 1900, Puccini incontrò il suo “pretino” che, però, era in borghese! «Non hai avuto il coraggio della tua opinione. Non mi piace», gli disse spiazzante il musicista che, nei giorni successivi, gli fece recapitare una «toga nuova fiammante».
Dopo un periodo come parroco a Fornovolasco (in Garfagnana), dove era stato mandato su sua richiesta per assistere meglio la madre ammalata, nominato nel 1905 primo curato della Cattedrale di Massa, Panichelli tornò a essere «consulente tecnico» di Puccini per la realizzazione di Suor Angelica e raccontò il suo rapporto col Maestro nel libro Il pretino di Giacomo Puccini racconta..., pubblicato per la prima volta nel 1939. Con una scrittura piacevole e per niente ampollosa, Panichelli racconta la sua amicizia con Puccini, unendo alla biografia ufficiale qualche curiosità, come l’amicizia che legava il Maestro a un certo Don Meco (alias monsignor Domenico Mercati, canonico della cattedrale di San Sepolcro) che gli forniva cani da caccia con cui, assieme, andavano a cacciare in Maremma; o come quando Puccini andò a sentire, a Viareggio, il concerto di padre Leonardo Pacini. Concerto un po’ troppo lungo. Infatti, a un certo punto, Puccini sgattaiolò via carponi, nel buio della sala. Più intenso il ricordo di quando, durante una processione in onore del “curatino santo” di Viareggio, Antonio Maria Pucci, il compositore fu visto commosso tra i fedeli.
Secondo Panichelli, per dirla con san Paolo, in Puccini giaceva una «fede morta». Una «fede atavica» che «si ridestò nella lotta formidabile tra la vita e la morte». Il 29 novembre 1926, a Torre del Lago, si tenne la tumulazione della salma del compositore morto due anni prima a Bruxelles. Pioveva come quel giorno in cui Panichelli era andato a trovare Puccini per la prima volta, nei tempi in cui stava ultimando Tosca di cui, il sacerdote, scriverà: «Tutte le volte che mi sono trovato a funzioni solenni, dove, simultaneamente, era suono di organo, processione e suono di grosse campane, canto di sacerdoti e preci sommesse di fedeli, ho chiuso con emozione gli occhi e mi sono detto: ecco il finale del primo atto di Tosca. E tutte le volte che risento quel finale, chiudo gli occhi e dico: ecco, siamo in Chiesa!».
La storia Don Pietro Panichelli conobbe il compositore in libreria, a Roma Ne divenne amico e “consulente tecnico” per le questioni religiose in scenografie e musiche delle sue opere A destra, don Pietro Panichelli A sinistra, Giacomo Puccini al pianoforte (Centro studi Giacomo Puccini)