martedì 29 novembre 2016
Due amici scomparsi violentemente, uno per aggressione l’altro per incidente. Legati da una scheggia poetica inedita, un vortice potente che gira attorno alla rima “torto/morto”. Un convegno a Salerno
Alfonso Gatto, quei versi inediti per Pasolini
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Nelle settimane tra la morte di Pasolini avvenuta per misterioso agguato e massacro, e la sua propria, avvenuta per incidente stradale, Alfonso Gatto, poeta amico e vicino, ha scritto un testo, finora inedito. Un compianto sull’amico morto. Un compianto ancora inconcluso, un testo quasi spezzato, contuso. Ci sono ancora correzioni, sconnessioni. Lo aveva forse poco più che appuntato. Forse risuonavano, a lui poeta di tessiture musicali, quelle rime «torto/ morto», e «muto/ aiuto» il cui senso cercava ancora una tessitura definitiva. La morte tornò a prenderlo, lasciando il testo senza lavorìo finale.

Eccolo nella sua scabra bellezza:

«Morendo Pasolini ha avuto il torto/ di non parlar da morto./ O se avesse parlato avrebbe avuto/ giustizia quel muto per/ che di lui serba parola/ forse d’aiuto/ In terra giacque la sua carne sola».

Tra la morte di un poeta (novembre 1975) e quella di un altro (marzo 1976) entrambe violente, l’una per aggressione l’altra per incidente, ci giunge questa scheggia, questa grezza e quasi violenta poesia che è una specie di vortice, di ellissi, un testo cristallino e però per nulla chiaro. Come un vetro appannato dal fiato del morire. E che si chiude con quel dolcissimo, amante finale: «giacque la carne sola». Così pieni di pianto e di amicizia. E di consapevolezza che la morte – pur per uno che non pareva credere alla resurrezione – non ha l’ultima parola. Il «torto», parola che fa dura rima con «morto», è per Gatto nel silenzio, nel non poter ascoltare più la voce del suo amico poeta e intellettuale.

In quei mesi, le polemiche, non ancora sopite, su quella morte devono aver frastornato gli amici come Gatto, legato a Pasolini da quella luminosa tenerezza che distingue tanta poesia del salernitano. Quella luminosa tenerezza che Pasolini immortalò nella recitazione dell’amico poeta ne Il Vangelo secondo Matteo. E queste parole, che sembrano invocare di nuovo la voce dell’amico, la sua voce e non quella di chi lo interpreta e interpreterà somiglia a un fanciullesco lutto, a una cristallina richiesta che viene da quegli occhi chiari, spalancati. Gatto, com’è noto, è poeta che fatica a trovare una adeguata considerazione. Non solo perché ebbe la ventura di scrivere poesie in un momento in cui fiorivano le grandi esperienze di attraversamento del secolo di un Caproni, Luzi, Sereni, Bertolucci e altri indubbi fuoriclasse, che lo hanno messo in un’ombra che è gremita di tante altre voci pur notevoli della nostra bella poesia. Ma anche perché la sua traiettoria, la sua natura poetica così antica e stupita, interrotta dalla morte, non si è prestata alle vetrinette delle polemiche di natura pseudo avanguardistica che hanno poi agitato gli anni ’70 specie in coda. Eppure leggere Gatto dona a tratti un incanto, una pena, una sofferenza del vivente che sono quelli della buona poesia di sempre. Con l’amico morto poco prima di lui aveva condiviso anche la pratica di un giornalismo attento al costume e alle evoluzioni della società e altri interessi culturali, lui in special modo l’arte e l’architettura, come mostra il recente libro edito da Aragno e curato da Giuseppe Lupo.

La carta inedita che presentiamo è stata ritrovata dal nipote Filippo, animatore della Fondazione Gatto. Confluirà nella parte di inediti del volume che Mondadori gli dedicherà prossimamente. E la rendiamo nota in occasione di un ricco convegno che all’Universita di Fisciano, Salerno si tiene in questi giorni per iniziativa della Fondazione e del Dipartimento diretto da Rosa Maria Grillo. Si ricordano appunto i quarant’anni dalla scomparsa. Vari studiosi metteranno in luce elementi della ricca personalità culturale del poeta. Dal «cronista di vita» (Annalisa Gimmi) al critico cinematografico (Pasquale Iaccio) oltre ai rapporti con protagonisti come Rodari e Petroni (Francesca Mugnaini e Nicoletta Trotta). Il saluto del sindaco della città Vincenzo Napoli sarà il segno rinnovato di un legame che questo poeta – che pur visse anche altrove – sempre tenne con questa terra. Certo, Alfonso Gatto è ben più che il poeta di Salerno, ma non lo si può capire senza il legame con la sua città, di cui aveva il tratto colto, sensibile, il tono ironico e nostalgico. Da tempo la Fondazione che porta il suo nome e il premio, con alterne vicendem hanno sempre rappresentato un importante appuntamento per la poesia lavorano perché la voce di Gatto non sia taciuta. E alcuni poeti, tra cui il sottoscritto, sono invitati all’appuntamento e cercheranno di dare il senso di una lettura attuale della sua poesia.

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