venerdì 29 novembre 2013
​Dopo che l'ad rossonero aveva spiegato di aver subìto un «grave danno alla reputazione» per le critiche di Barbara Berlusconi, oggi il Cavaliere ha annunciato che "tutti restano al loro posto".
IL COMMENTO Spenti i riflettori su una stagione del nostro calcio di Massimiliano Castellani
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"Galliani è più sollevato. Tutti restano al loro posto e il Milan prosegue all'insegna dell'unità di intenti". Silvio Berlusconi, presidente del Milan, annuncia che Adriano Galliani non lascerà il club rossonero. "Non sono venuto a Milanello solo per le avverse condizioni meteo e mi spiace. In ogni caso il Mlan va avanti con serenità", dice Berlusconi in un messaggio diffuso da Milan Channel. "Avrei voluto dire queste cose direttamente alla stampa, ma il senso è questo", prosegue il numero 1 del club. "La situazione societaria del Milan non cambia, Galliani è sereno dopo la cena di ieri sera a Arcore", afferma Berlusconi. Ieri Galliani ha annunciato le dimissioni chiarendo che avrebbe lasciato il club dopo il derby del 22 dicembre."OFFESA LA MIA REPUTAZIONE"È curioso che proprio ieri, in una giornata di fine novembre, Milano abbia regalato un tramonto vivido, dai colori netti, il rosso dell’ultimo sole e il nero della notte avanzante. Rosso e nero, luci e ombre, è stato davvero un finale scenograficamente perfetto per chiudere un film durato quasi 28 anni, quello di Adriano Galliani al Milan. Anzi, più che di un film - vista la durata e lo svilupparsi della trama - si potrebbe parlare di soap-opera dalla chiosa sorprendentemente amara, lontana dalla filosofia televisiva del presidente-padrone-amico di sempre, Silvio Berlusconi. Un epilogo alla rovescia dopo decenni vissuti quasi costantemente col sorriso, da vincente: Adriano Galliani non l’ha mai detto, più che per pudore, per rispetto del Grande Capo: ma nel club più titolato del mondo del proprietario più titolato del mondo, lui lascia da dirigente più titolato del mondo, sapendo tra l’altro che alla collezione di Coppe (tante) e scudetti (forse pochi, rispetto alla leadership effettivamente esercitata nel Milan specialmente negli anni ’80 e ’90), lui può allineare successi che non rimarranno in nessun albo d’oro, ma di sicuro nella memoria dei tifosi. Si parla, ovviamente, di potere “politico” e di rapporti, che tante volte ha spianato la via rossonera in operazioni di mercato tutto meno che facili, specialmente quando i rubinetti Fininvest hanno cominciato ad asciugarsi. Da Ronaldo a Kakà, da Ibrahimovic a Balotelli, le partenze in solitaria e gli arrivi in coppia dell’ad di via Turati sono entrati di diritto nella storia parallela al calcio giocato, quella del mercato. È altrettanto vero che in quei piccoli grandi trionfi personali, ha cominciato ad annidarsi uno dei virus che - a gioco lungo - hanno contribuito a intaccare la totale autonomia che Galliani ha sempre avuto, da Arcore, per gestire le vicende milaniste una volta partito il Cavaliere.Operazioni che hanno sempre di più coinvolto personaggi esterni alla società, procuratori e business-man quali Mino Raiola, Bronzetti, Damiani, arrivati fino al punto di diventare i direttori sportivi effettivi, con il dirigente preposto ufficiale (Ariedo Braida) messo progressivamente nell’angolo. Si dirà che, con l’avvento dei nuovi ricchi del pallone e senza la prodigalità goduta per così tanti anni (nel tempo, ad esempio, in cui era possibile acquistare il Pallone d’Oro Papin solo per avere una valida contromisura alle precarie condizioni di Marco Van Basten), la strada dell’appoggio ai grandi maneggioni del mercato era una strada più o meno obbligata per riuscire ancora a sedurre qualche giocatore importante o anche solo di appeal. Ma è giusto ritornare al cambio di rotta economico di Berlusconi nei confronti del Milan, e ricordare che, guarda caso, si colloca intorno al 2006, quando il magnate di Arcore ha incassato (e male) la botta di Calciopoli, che ha visto il club cornuto e mazziato da un coinvolgimento che sapeva, soprattutto, di silenzio assenso alle trame moggiane e che è costato, al di là di una penalizzazione limitata, un danno di immagine oltre che di scudetti, finiti sulla maglia dell’Inter arrivata alle spalle del Milan in quel torbido, dannato campionato. Lì, forse, è iniziata la lenta discesa del Geometra, a un certo punto deus-ex-machina del calcio italiano come e più di qualsiasi Federazione, di qualsiasi Moggi quando, da presidente di Lega, è stato il perfetto regista della gestione dei diritti tv. Competente, pragmatico, con gli agganci naturalmente giusti: in Lega si è continuato a litigare, come da prassi, ma i club italiani, piccoletti compresi, si sono ritrovati invasi da improvviso benessere come mai nella loro storia. Molti presidenti non sono propensi oggi a “ricordare” il Galliani che se ne va ma, anzi, c’è da scommetterci, tifano per un suo rapido riciclo come advisor. A rimpiangerlo, invece, rimarranno molti tifosi milanisti (la maggioranza, a giudicare dal termometro dei social network) che gli hanno perdonato la brutta caduta - peraltro “dettata” - di Marsiglia e dei riflettori, e preferiranno sempre ricordare le tante scene di esultanza smodata (o di pesante arrabbiatura) degne dell’Abatantuono di “Eccezziunale veramente”, incuranti del politically correct richiesto da ruolo e tribuna vip. Proprio recentemente, nella trasferta di Champions a Barcellona, si era visto un Galliani assente, apparentemente insensibile alle vicende della partita. Accanto a lui Barbara Berlusconi, un saluto formale prima della partita e poi un muro spesso quei pochi centimetri di aria. È stato il segnale, i milanisti hanno capito, tutti hanno capito. E la repentina uscita allo scoperto, l’annuncio immediato dell’addio è stato - pensandoci - l’ultimo atto da superdirigente: una convivenza forzata, svuotata dei superpoteri avuti fino all’altro giorno, sarebbe stata più che dannosa, innanzitutto per il Milan. «Mi dimetto per giusta causa, ho subito un grave danno alla reputazione. Giusto il ricambio generazionale, ma va fatto con eleganza», le sue poche parole. Sull’impero di Galliani sembrava non calare mai il sole, invece, ieri è calato, in un tripudio di rosso e nero.
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