L'ex portiere della Nazionale italiana Giovanni Galli
Le rotte estive delle “storie di cuoio” passano da Portopalo di Capo Passero, lembo sudorientale siciliano, più a sud di Tunisi, con la consegna del Premio Nazionale Osvaldo Soriano a Giovanni Galli. L’ex portiere del Milan di Sacchi, classe 1958, ha aperto il suo scrigno di ricordi, calcistici e personali, sollecitato da Massimiliano Castellani, coordinatore del “Collettivo Soriano”. Gioie e dolori, salite ripide e rinascita spirituale, passando dalla «grande tribolazione », indicata da San Paolo, senza aver perso la fede.
Partiamo dagli inizi della sua carriera: Firenze.
Son partito dal settore giovanile della Fiorentina da dove è cominciato il mio percorso calcistico. Carlo Mazzone mi fece esordire in A nell’ottobre ’77 schierandomi nella ripresa contro la Juventus, a Torino, al posto di Carmignani.
La stagione più bella che ricorda nella sua lunga militanza viola?
L’annata 1981/82. Perdemmo lo scudetto sul filo di lana. Titolo che meritavamo di giocarci quantomeno in uno spareggio. Invece la Juve la spuntò per un punto in un finale molto amaro per noi.
Lei andò al Mundial ’82 come terzo portiere.
Ringrazio Enzo Bearzot che mi convocò. Un’esperienza indimenticabile. Decisivo il silenzio stampa post Camerun. Dino Zoff venne scelto come portavoce, lui che solitamente diceva tre parole. Fu la svolta. Di Bearzot posso solo dire cose belle. Una persona straordinaria che difendeva sempre i suoi giocatori.
Nel 1986 arriva la chiamata del Milan.
Era appena arrivato Silvio Berlusconi alla presidenza. Con mia moglie ci siamo trovati subito benissimo a Milano. Vivevamo in un residence che ospitava anche Massaro, Ancelotti, Rijkaard e Van Basten.
La stagione successiva in panchina giunge Sacchi: la svolta.
Un’intuizione geniale del presidente. Con Arrigo, che avevo incontrato qualche anno prima alle giovanili viola, l’impatto fu molto forte. Metodi di allenamento durissimi, schemi da memorizzare, adattamento a ritmi di lavoro e carichi mai registrati in passato. Grandissima professionalità e capacità organizzativa. Un cultore del lavoro. Quel Milan ha fatto la storia del calcio.
I tifosi rossoneri la ricordano come l’eroe di Belgrado ’88.
Già, la sfida infinita contro la Stella Rossa, squadra infarcita di elementi di gran classe, compreso un giovane Savicevic. La nebbia del mercoledì ci salvò dall’eliminazione, il giorno dopo sfoderammo una grande prestazione, più forti persino di un arbitro che non vide un gol nitidissimo.
Lei parò due rigori.
Ricordo soprattutto il secondo: dovetti allungarmi alla mia destra. Ammutolì i 120 mila del Marakanà di Begrado, un clima infernale. In tribuna c’era anche Arkan, comandante di un’organizzazione paramilitare serba macchiatasi di crimini atroci nella ex Jugoslavia.
La parata a cui è più affezionato?
Dovendo indicarne una dico quella contro il Malines nel ’90. Allora in Coppa Campioni andavano solo le squadre vincitrici dei campionati nazionali e la detentrice del titolo quindi la qualità era molto più alta dell’attuale Champions.
Un ricordo di Maradona, suo compagno di squadra al Napoli nel ’90/91.
Giocai con lui nella sua ultima tribolata stagione italiana. Diego era una persona splendida. Difendeva il suo mondo e i suoi affetti senza risparmiarsi. In campo è stato il migliore di tutti. L’unico che, avendo la possibilità di fare tre giocate, ne tirava fuori una quarta, lasciandoti di stucco. Ho un bellissimo ricordo di Diego. Lo chiamai per dirgli che stavamo organiz- zando una manifestazione in ricordo di Niccolò. Prese un aereo dall’Argentina per l’Italia per venire a ricordare mio figlio. Aveva un cuore immenso.
Come procede l’attività della Fondazione Niccolò Galli?
Sosteniamo ragazzi la cui vita è stata cambiata da un incidente stradale, con assistenza sociosanitaria, sostentamento degli istituti che si dedicano alla cura delle invalidità e organizzazione di eventi sportivi per raccogliere fondi necessari alle finalità della fondazione. Il bisogno chiama giorno per giorno e l’impegno con la fondazione continua incessante.
Due cose fondamentali della sua vita?
La mia famiglia e la fede in Dio. Se non avessi avuto questa grande fede e la convinzione di ritrovare e rivedere un giorno mio figlio, sarebbe stato difficile convivere con questo dolore che non passa mai. La fede è qualcosa che ti senti dentro. Un grande supporto in tal senso l’abbiamo avuto andando alla Cittadella della Pace di Rondine e a Romena da don Gigi Verdi. Si esce da queste esperienze spirituali rigenerati e in grado di affrontare la vita con rinnovata determinazione. E ho compreso che piangere, commuoversi non è un indice di debolezza ma di vitalità interiore. Un altro insegnamento avuto dopo la scomparsa di Niccolò.
Chiudiamo con l’attualità: chi vince il campionato?
Il ritorno del pubblico negli stadi potrebbe cambiare parecchie cose rispetto all’anno scorso. Prevedo una stagione incerta al vertice e per questo non indico una favorita in particolare. Speriamo di vedere del bel calcio.