Fu Franco Battiato il primo a superare, con La voce del padrone, la barriera del suono del milione di copie vendute. Era l’era del vinile, anche se proprio in quell’agosto del 1982, mentre sulle spiagge impazzavano Centro di gravità permanente e Cuccurucucù, in una fabbrica della Philips in Germania vedeva la luce il primo compact disc, The Visitors degli Abba. Per un po’ di tempo vinili e cd convissero sugli scaffali dei negozi, ma di lì a non molto i primi finirono con l’estinguersi. Rifiorendo ora, nell’era dello streaming, per quello strano effetto revival un po’ figlio delle mode e un po’ delle stelle, intese anche come congiunzioni astrali.
Così, a rifiorire, è ora quel Fleurs che il popolo di Battiato vent’anni fa non fece più in tempo a mettere sul giradischi, ormai immerso nell’era digitale. Un omaggio floreale e in vinile che arriva però adesso, per il suo 74° compleanno. Un long playing di un suggestivo color rosso carminio (a evocare le rose della copertina originale tratta dal dipinto Donna con rosa che lo stesso Battiato realizzò in quel 1999) per omaggiare il più eclettico e poliedrico dei nostri musicisti e cantautori, da un anno e mezzo riparato nella sua dimora di Milo, quella Villa Grazia (il nome della madre) alle pendici dell’Etna dove tra i suoi pennelli e le note del pianoforte si lascia cullare dalle “sacre sinfonie del tempo”.
Venerdì prossimo, dunque, la casa discografica Universal lo omaggerà con l’uscita di questo vinile (la copertina inedita è stata realizzata da Francesco Messina, art director e storico amico di Battiato), alla vigilia del compleanno e per il ventesimo anniversario dalla pubblicazione di un album con cui l’artista siciliano volle, a sua volta, omaggiare alcune delle canzoni da lui più amate fin da ragazzo.
Registrato in soli due giorni di metà agosto nella casa di Milo (con il sodale Michele Fedrigotti, pianoforte e co-arrangiamenti, e gli archi del Nuovo Quartetto Italiano, oltre alla voce del sopranista Simone Bartoli), il disco ebbe un grande successo, forte della personale e ispirata rilettura di dieci autentici capolavori, più due inediti: Medievale e Invito al viaggio, in cui il filosofo, amico e collaboratore Manlio Sgalambro recita versi ispirati a un’omonima poesia di Baudelaire.
Un grande tributo ad autori italiani (come Fabrizio De André e Sergio Endrigo) e francesi (Charles Aznavour, Jacques Brel, Charles Trenet), alla canzone napoletana con Era De Maggio e ai Rolling Stones con Ruby Tuesday, bissato nel 2002 da Fleurs 3 (come per voler chiudere in anticipo l’annunciata trilogia di cover) e quattro anni dopo dal capitolo saltato di Fleurs 2.
Ma c’è un altro anniversario, a dir poco fondamentale e determinante, nella carriera di Battiato e nella storia della canzone d’autore. Quarant’anni fa il mondo del pop fu all’improvviso catapultato nella misteriosa e rivoluzionaria Era del cinghiale bianco. Complice di Battiato in questa svolta sonora (oltre che testuale) il compositore e violinista Giusto Pio. Insieme avevano già prodotto l’anno prima l’album perlopiù strumentale Juke box (doveva essere la colonna sonora dello sceneggiato tv Brunelleschi, ma fu rifiutata) con la collaborazione di Juri Camisasca, di Roberto Cacciapaglia alla direzione artistica e del pianista Antonio Ballista esecutore poi, nello stesso anno, insieme a Bruno Canino dello sperimentale album di solo piano L’Egitto prima delle sabbie che vinse sì il premio “Stockhausen” a un festival internazionale per pianoforte, ma segnò anche un punto di non ritorno nella ricerca musicale di Battiato, dopo quasi un decennio di sperimentazione elettronica e di avanguardia.
Battiato si affida allora al produttore Angelo Carrara (che sarà il suo manager fino al 1986) e lascia la Dischi Ricordi per la casa discografica Emi. È finalmente pronto per liberare il suo mondo musicale e anche interiore, caratterizzato da una ricerca intellettuale e spirituale che lo porta ad abbracciare filosofie orientali, esoterismo e misticismo. Sempre sforzandosi di sposare e conciliare questa “esotica” fascinazione con le sue profonde radici cristiane, alla ricerca di una universale «dimensione insondabile».
Un sincretismo “spirituale” che va a braccetto con quello musicale e artistico. Così quando nell’autunno di quel 1979 il grande pubblico televisivo udì una domenica pomeriggio, nello storico programma ideato da Gianni Boncompagni Discoring, quella strana canzone di un “genere” mai sentito prima, si rese subito conto di trovarsi di fronte a una svolta. Il pop stava incontrando qualcosa di nuovo, un intrigante mix di violino, chitarra elettrica, ritmici echi orientaleggianti e insolite parole. Eravamo entrati nell’Era del cinghiale bianco (immagine ricavata da un’antica leggenda celtica che vedeva in questo animale “sacro” la quintessenza della conoscenza spirituale), tra alberghi di Tunisi pieni per le vacanze estive e studenti di Damasco vestiti tutti uguali.
È il singolo dell’omonimo lp: sette brani, non i soliti otto dei dischi pop di allora. Mezz’ora esatta di musica, non un minuto in più, come a voler sottolineare che la qualità ha un prezzo e disdegna la quantità. Un vezzo che replicherà anche nei successivi album, da Patriots a La voce del padrone, da Patriots a L’arca di Noè. Quel suo primo disco pop vendette poco allora, ma segnò un’epoca. Il re del mondo (più volte ripreso) ne era il capolavoro assoluto. E ancora oggi «ci tiene prigioniero il cuore».