Francesco sfida il Sultano alla prova del fuoco in uno degli affreschi attribuiti a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi (1290-1295)
Differenti per genere letterario, i due libri portano lo stesso titolo, Francesco e il Sultano, perché si riferiscono al medesimo episodio storico: l’incontro, avvenuto a Damietta nell’estate del 1219, tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. La Quinta Crociata imperversa e il Poverello, accompagnato da un frate solitamente identificato con Illuminato da Rieti, si dirige verso il campo musulmano nel tentativo di convertire il «Soldano» la cui «presenza superba» verrà stigmatizzata da Dante nell’XI canto del Paradiso. Che l’incontro sia avvenuto è fuor di dubbio, quale sia stato il contenuto del dialogo tra i due uomini resta impossibile da appurare. Le fonti più antiche insistono sulla «cortesia » che al-Malik al-Kamil avrebbe riservato ai frati, mentre la Leggenda Maggiore di Bonaventura da Bagnoregio introduce il dettaglio della prova del fuoco alla quale Francesco sarebbe stato disposto a sottoporsi per dimostrare la superiorità della propria fede e alla quale, al contrario, il Sultano si sarebbe sottratto.
La scena (molto problematica anche sotto il profilo storico, dato che simili ordalie erano state formalmente proibite nel 1215 dal Concilio Lateranense) è raffigurata negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi, la cui esecuzione costituisce lo spunto narrativo del primo dei due Francesco e il Sultano arrivati in libreria in questi giorni. Edito da Einaudi (pagine 204, euro 18,50), è un romanzo dal forte impianto documentario, nel quale Ernesto Ferrero torna a dispiegare gli strumenti di erudizione e di invenzione che già stavano alla base del suo N, vincitore del premio Strega nel 2000. Con una bella prova di umiltà, nella nota finale Ferrero ammette di essere venuto a conoscenza dell’incontro di Damietta in tempi relativamente recenti grazie alla conversazione con padre Michele Piccirillo, l’autorevole archeologo francescano morto nel 2008. Ad accrescere l’interesse di Ferrero è stata anzitutto la possibilità di «riempire i vuoti del poco che si sa con certezza di lui [Francesco, ndr] con quello che finisce per essere orientato dagli interessi “politici” di chi lo racconta». L’obiettivo polemico coincide appunto con la Leggenda di Bonaventura, alla quale viene attribuita una funzione normalizzatrice (se non addirittura di tradimento) nei confronti dell’originario carisma francescano, del quale resterebbe traccia nelle biografie redatte da Tommaso da Celano e nella prima stesura della Regola. Sotto questo profilo, la posizione di Ferrero è molto severa e arriva a coinvolgere il piano complessivo degli affreschi assisiati, con una riflessione tutt’altro che prevedibile sul ruolo svolto da Giotto.
Molto più possibilista sull’eventualità che la prova del fuoco sia stata effettivamente prospettata è invece il portavoce del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato, che insieme con il giornalista Piero Damosso firma l’altro Francesco e il Sultano (San Paolo, pagine 178, euro 16,00). Integrato dal sottotitolo «800 anni da un incredibile incontro», è un saggio ricco di spunti spirituali e giustamente preoccupato di rivendicare l’attualità di un evento in apparenza remoto. Damosso, per esempio, traccia una sicura linea di continuità fra quel che accadde a Damietta nel 1219 e le tappe più recenti del dialogo cristiano-islamico, promosso già dal Concilio Vaticano II e condotto con stili diversi ma con immutata determinazione da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI (molto utili le puntualizzazioni sull’ancora frainteso discorso pronunciato a Ratisbona nel 2006) e oggi da papa Francesco, al quale si deve l’iniziativa della fondamentale Dichiarazione di Abu Dhabi del febbraio scorso. Del resto, già quella messa in atto da Francesco al cospetto di al-Malik al-Kamil «non è diplomazia, è misericordia», come sottolinea con pieno convincimento padre Fortunato, che riconosce alla stessa Leggenda Maggiore il merito di individuare con precisione il punto «in cui il nemico diventa fratello attrqverso il dialogo e la stima abbatte la barriera della minaccia e della rivendicazione».
Le modalità di questo reciproco riconoscimento sono ricostruite in maniera molto credibile da Ferrero nel suo Francesco e il Sultano, nel quale la vicenda del Poverello finisce di fatto per riassumersi nelle giornate di Damietta. Centrale, in questa prospettiva, è l’assimilazione del mendicante cristiano due volte Franjis (per i musulmani tutti gli occidentali erano “francesi” e quindi “franceschi”) ai sufi, i mistici islamici depositari di una lettura sapienziale del Corano. Da loro il Francesco di Ferrero apprende l’orazione dei 99 nomi che alludono al mistero impenetrabile dell’unico Dio, in un’apertura cosmica che troverà compimento nel Cantico delle Creature. Ma nella rivisitazione narrativa di Ferrero anche l’idea di allestire il presepe di Greccio deriva a Francesco dalla memoria di una Betlemme «sfiorata e perduta», con le «greggi che apparivano e sparivano in una nuvola di polvere e di belati». E se i capitoli dedicati al viaggio verso la roccaforte crociata di Acri hanno il piglio incalzante di un romanzo d’avventure (non per niente Ferrero ha dedicato a Emilio Salgari un altro dei suoi libri, Disegnare il vento, del 2011), a risultare straordinariamente avvincenti sono le fasi della disputa teologica alla quale il Sultano partecipa solo saltuariamente, nelle ore di tregua fra una battaglia e l’altra, osservando pensoso quello strano sufi dagli occhi sempre arrossati, così ostinato nel difendere le ragioni della «Triade » cristiana a dispetto dell’intangibilità del Compassionevole. Francesco, da parte sua, preferisce insistere sulla misericordia, sulla semplicità che confonde la scienza del mondo, sulla povertà che vince la cupidigia e ogni altro affanno, compreso quello di desiderare il martirio senza ottenerlo. Francesco sfida il Sultano alla prova del fuoco in uno degli affreschi attribuiti a Giotto nella Basilica Superiore di Assisi (1290-1295)