venerdì 2 agosto 2024
Dal filosofo cubano-tedesco, molto noto per gli studi in ambito interculturale, una riflessione a partire dal pensiero latinoamericano
Raúl Fornet-Betancourt

Raúl Fornet-Betancourt - -

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Il tema del XXV Congresso Mondiale di Filosofia invita la filosofia a “varcare i confini”, cioè ad articolarsi in teorie e pratiche che non considerino i confini come bastioni da difendere ma piuttosto come momenti di un percorso lungo il quale l’essere umano può apprendere che veniamo da più lontano dei nostri luoghi di origine e che stiamo anche andando oltre i limiti che segnano oggi i confini dei luoghi in cui viviamo e conviviamo.

Si tratterebbe, dunque, di cercare di fare della filosofia un processo di apprendimento che insegni a prendere coscienza che ai confini del mondo risuona una doppia lontananza, di origine e di proiezione, che ne trabocca avanti e indietro.

Il congresso, dunque, ci chiama ad un compito nobile. Ma si tratta anche, come si può dedurre dalle “sfere di confine” che si distinguono nel programma e dai diversi significati a cui fanno riferimento nell'uso del concetto di confine, un compito complesso e dalle molteplici dimensioni. possono essere affrontati da diversi punti di vista.

Per questo motivo indico che, nelle mie riflessioni, prenderò in considerazione un solo momento; un momento che si inserisce nella prospettiva del quarto obiettivo perseguito da questo congresso, secondo il quale occorre “decostruire le barriere culturali e disciplinari ancora troppo rigide”. E notando che lì viene usata la parola “barriera”, e non “confine”, come nel tema generale del congresso”, indico anche che le mie riflessioni depongono a favore dell’idea che la filosofia, in effetti, fa bene a provare attraversare le frontiere, ma non semplicemente per lasciarle indietro, ma proprio per evitare che, a causa della rigidità, diventino barriere che separano e separano differenze che sono, in verità, rilievi nella cartografia della comune organicità della famiglia umana.


Le mie riflessioni su quel momento si concentrano su due domande:

1. Come può la filosofia oltrepassare i confini, a cominciare dall’attraversamento di quei confini che essa stessa ha tracciato con l’uso eurocentrico dei concetti umani fondamentali?


2. Perché o perché la filosofia dovrebbe davvero impegnarsi in questo compito?

Di seguito cercherò di dare, a partire dall’esperienza della filosofia interculturale latinoamericana, una risposta provvisoria a queste due domande.


Poiché nella prima domanda suppongo che la filosofia debba partire dai confini che essa stessa ha tracciato con un uso eurocentrico dei concetti fondamentali, parto da questo aspetto per osservare che il termine concettuale eurocentrico che noi condanniamo come impedimento al superamento dei confini , non delinea soltanto un confine esterno, cioè un confine tra la filosofia europea e le filosofie di altre regioni del mondo. Traccia anche un confine all’interno della stessa filosofia europea, in quanto detto eurocentrismo concettuale significa infatti un restringimento della filosofia dell’Europa allo sviluppo del pensiero filosofico egemonico in paesi come Germania, Francia o Inghilterra, in modo tale da creare una filosofia europea la mappa viene delineata con periferie o aree marginali e, quindi, praticamente escluse dalla corrente argomentativa centrale, come sarebbe il caso, ad esempio, della penisola iberica o dell'Europa orientale.


Ma come può la filosofia oltrepassare questo confine in cui si è rinchiusa? La mia risposta va in questa direzione: Nel suo compito di pensare il suo mondo storico, la filosofia dovrebbe riportare i suoi concetti alla realtà; riportare i concetti di manuali e sistemi filosofici ai mondi storici di oggi per contrastarli contestualmente e culturalmente; con lo scopo di discernere, attraverso questo lavoro di contrasto, ciò che realmente i concetti danno di sé come tentativi di intellezione della realtà storica.

Per un rinnovato rapporto della filosofia con se stessa e con il mondo, è decisivo che essa rinunci all'uso di concetti che promuovono l'analitismo contestuale e culturale. Questa proposta si basa sul problema dell'eurocentrismo in filosofia, ma non si limita ad esso. Bisogna riconoscere che, al di là del problema specifico che l’eurocentrismo concettuale rappresenta, la filosofia in generale deve presupporre che la condizione fondamentale per sviluppare la propria capacità di oltrepassare i confini teras, in questo caso i propri confini argomentativi interni, risieda proprio nella conseguente revisione delle il rapporto che intrattiene con i concetti che guidano il suo lavoro di riflessione nel mondo.

Ma non mi soffermerò oltre su questo aspetto della prima questione. In definitiva, lo scopo della trasformazione interculturale attraverso la quale la filosofia è in grado di varcare i suoi confini interni non è altro che quello di mettere la filosofia in condizioni di poter ascoltare e decifrare il linguaggio di quelle altre frontiere che, piaccia o meno, no, in cui si imbatte quando assume la funzione di pensare al suo rispettivo mondo storico.

Proseguo dunque con qualche parola su quest'altro aspetto della prima questione. Ora, sottolineando il significato dei confini come luoghi di memoria, di confronto e di resistenza in cui oggi si manifesta in modo particolare lo scandalo della cattiva convivenza nel mondo attuale, voglio proporre una considerazione che, a mio avviso, nel caso di affrontare il problema confini che la filosofia trova nel mondo storico, bisognerebbe introdurre una sfumatura nel compito a cui siamo chiamati questo XXV Congresso Mondiale di Filosofia. Sto parlando di quanto segue: di fronte a frontiere che rendono evidente la drammatica lacerazione dell’umanità dovuta ai diversi razzismi che pratichiamo e ai meccanismi di esclusione che li accompagnano, che stabiliscono barriere tra colonizzatori e colonizzati, tra ricchi e poveri, tra cittadini e migranti, ecc., di fronte a questi confini, che spesso sono confini militarizzati, la filosofia, a mio avviso, non dovrebbe cercare di oltrepassarli troppo in fretta.

Penso piuttosto che la filosofia dovrebbe imparare a dimorare e indugiare in essi, imparare ad abitare i loro estremi confini, ad ascoltare il grido dell’umanità sofferente e l’ethos che quel grido trasmette. Senza prendersi il tempo per conoscere ciò che l’umanità chiede e denuncia ai confini che la dividono, la filosofia non potrà trovare le parole che guariscono le ferite dell’umanità divisa; che sono anche, a mio avviso, parole che invitano ad attraversare confini di altro tipo, legati cioè non all'immagine del movimento che attraversa i luoghi ma piuttosto all'esperienza di solidarietà e compassione che li muove a stare con l'altro nei loro luoghi per approfondire i ricordi e le narrazioni di speranza e angoscia che sostengono quei luoghi.

Questo sostare solidale alle frontiere del mondo per vedere e rendersi conto di ciò che lì accade con l'umanità degli esseri umani, è per me anche la base perché la filosofia possa puntare a raggiungere il primo obiettivo proposto da questo XXV Congresso Mondiale di Filosofia, che invita a “mettere la riflessione filosofica al servizio di un discorso pubblico incentrato sulle preoccupazioni dell’umanità con la “temporaneità…”

Ma passo alla seconda domanda. Da quanto ho spiegato, penso che si possa vedere che la mia risposta a questa seconda domanda va nella direzione di ciò che viene chiesto alla filosofia in quel primo obiettivo che ho appena menzionato. Lo spiego brevemente: nella mia risposta alla prima domanda, ho chiarito che la trasformazione interculturale della filosofia come movimento di revisione riflessiva all'interno dei propri confini trova ¬blocca il suo significato genuino nel tentativo di condizionare la filosofia affinché sviluppi la coscienza di avere una casa in tutti i posti del mondo, e non solo in alcune delle sue regioni. E questo non per un particolare interesse narcisistico di mettersi in mostra davanti al mondo intero, quanto piuttosto nell’ottica di superare l’analfabetismo contestuale e culturale di cui parlavo, riconfigurandosi come una filosofia Sofia per il mondo con una proiezione davvero globale e al servizio del bene comune di tutta l'umanità. Con cui si è fatto progresso, infatti, nella risposta alla seconda domanda, in coincidenza, come ho detto, con la prospettiva proposta dal primo obiettivo di questo congresso.

Ecco perché ora mi limiterò a sottolineare l’enfasi che la filosofia interculturale latinoamericana pone su questa risposta:
Dall'approccio della filosofia interculturale latinoamericana, il confronto con la disuguaglianza, l'ingiustizia, il minor prezzo dell'alterità dell'altro o il saccheggio antropocentrico della natura la natura affonda le sue radici in un ethos emancipativo che prolunga la denuncia e la critica dello stato delle cose imposto dalla potenza del negativo nel mondo contemporaneo con l’annuncio anticipatore della speranza degli “altri mondi possibili” che vengono rivendicati nel “Forum Sociale Mondiale” e nel “Forum Mondiale delle Alternative”. E questo ethos emancipativo, proprio alimentando l’utopia di un mondo altro in cui ci sia un posto e uno spazio per la vita di tutti, implica lo sviluppo di una cultura del rapporto dialettico con e sulle frontiere, intendendo con ciò una cultura che promuove la qualità dei confini come aree di realtà storiche contigue, cioè come lembi di vicinato in cui distanza e prossimità crescono come sorelle gemelle.

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