C'è un ex pilota che, tenacemente, da un quarto di secolo insegue un sogno. Essendo un “romano da 7 generazioni”, il sogno è insieme semplice e complicato: portare le monoposto di Formula 1 sulle strade della Capitale. Un progetto sportivo, certo, ma soprattutto un business: si stima che la ricaduta economica di un Gran Premio a Roma possa superare il miliardo di euro l’anno e generare oltre 9mila posti di lavoro. Pane per i denti di un uomo che, lasciato il volante, è diventato un imprenditore di successo.Maurizio Flammini, 60 anni a novembre, è a capo della FG Group con 400 dipendenti e da qualche mese è presidente di Federlazio, l’associazione di 4mila piccole e medie imprese della regione. Per l’operazione che dovrebbe portare la F1 a Roma, presentata a maggio con l’appoggio del sindaco Alemanno, ha già speso «almeno 4 milioni di euro» («Da 6 mesi ho 30 progettisti al lavoro, 5 assunti ex novo»).Flammini, abituato a realizzare i progetti (è lui che ha creato il Superbike, campionato alternativo al MotoGP, nonché i Columbus Games nel 1992), non si spaventa e ci crede. Obiettivo: bandiera a scacchi nel 2012. Ma una chiacchierata con lui è anche un tuffo in un passato pionieristico dell’automobilismo che oggi si è perso. Già dall’ingresso nel suo ufficio, dove campeggia una (furono 9 in tutto) delle Olivetti “rosse” che Enzo Ferrari commissionò alla casa di Ivrea.
Flammini, quante chances si dà di portare la Formula 1 nella Capitale?«Da organizzatore ho il dovere di dire 100%. Ma a ottobre 2008 avrei detto solo il 70%. Ormai possono fermare il GP Roma solo cause di forza maggiore. Il progettista della Fia, Tilke, ha già visto il progetto e lo ha approvato. Ecclestone ci ha dato una finestra temporale dal 2011 fino al 2013 incluso».
È vero che il piano F1 a Roma nasce in prima persona dal “Drake”, Enzo Ferrari?«Mi telefonò un giorno del 1984 chiedendomi di realizzarlo. Io chiamai subito Fabrizio Serena, l’allora presidente della Csai: in 3 ore e un quarto arrivammo a Maranello per parlarne con Ferrari. All’epoca facemmo un progetto che impegnava anche la Cristoforo Colombo (grossa arteria che collega il centro di Roma all’Eur), oggi scartata. Il sindaco Vetere sosteneva l’operazione. Gli ecologisti però erano contrari e alla fine tutto si arenò».
Oggi vede condizioni diverse?«Decisamente. Oltre ad Alemanno abbiamo l’appoggio di Regione e Provincia. Anche perché, al di là dell’evento in sé, il nostro progetto vuol essere uno spunto per riqualificare l’Eur, quartiere che io adoro, ed è completato da una serie di manifestazioni collaterali per puntare a oltre 1,3 milioni di presenze addizionali nella città nel solo periodo del Gran Premio. Da un nostro sondaggio commissionato all’Ispo, il 69% dei romani sono meglio disposti ad accettare eventi che portino occupazione, pur consci del rischio di qualche disagio in più».
Come nacque il suo legame con Ferrari?«Ero un pilota promettente nella Formula 2. L’ultimo anno di Niki Lauda in F2 io vinsi 5 gare nel campionato europeo. Nel ’75 fui ingaggiato dalla Williams per la Corsa dei Campioni di F1 a Brands Hatch, in Inghilterra. Lì nelle prove ebbi uno spaventoso incidente a quasi 300 all’ora: ci volle quasi un’ora per estrarmi dalle lamiere, la scampai bella. Prima, comunque, feci in tempo a fare il 7° tempo accanto a un campione come Emerson Fittipaldi... Malgrado ciò nel ’76 la Ferrari, mi chiamò per un test sulla Rossa. A un mese dal via al campionato però mi ritrovai senza sponsor e non se ne fece niente. Enzo Ferrari mi congedò dicendo: “Quando vuole, mi venga a trovare anche senza appuntamento”. E così è stato...».
E il Flammini pilota come si trasformò in imprenditore?«Fu proprio la ricerca di sponsor che mi spinse già nel ’75 a creare la Flammini Racing. Ero giovane e pieno d’interessi. La mia grande passione è la musica: da piccolo volevo fare il pianista. Poi scelsi Ingegneria, del resto mio padre e mio zio avevano progettata una spider per la MilleMiglia. Nel ’76 ebbi poi l’idea di allestire una rassegna motoristica a Roma: fu un grande successo, con 130mila spettatori».
Un GP a Roma non crea problemi di contrapposizione con quello di Monza?«No. Anzi ho proposto al sindaco di Monza e al management dell’autodromo una sinergia fra i due eventi per creare un polo italiano della F1. Inoltre se Monza e Roma fossero alleate si moltiplicherebbero le potenzialità turistiche: già pensiamo a 18 Paesi dove vendere pacchetti turistici di alto livello. C’è spazio per tutti».