Solinas
Viviamo in tempi strani, percorsi da polarizzazioni estreme e divergenti che ci lasciano sconcertati e privi di capacità compensativa. Sviluppo tecnologico di incredibile sofisticazione e precisione che giunge fino ai dichiarati propositi di una vera e propria macchinizzazione del corpo umano vs. elogio e dominio di istintualità ed emotivismo nel ripudio di ogni forma di razionalismo, accesso quasi senza limiti a ogni tipo di informazione vs. ignoranza di ritorno dilagante e imbarazzante, concentrazione di ricchezze mai vista prima d’ora vs significativa ripresa di indigenza fino alla denutrizione. In ambito politico, poi, alla richiesta del populismo di una sempre più ampia condivisione e gestione del potere fanno da contraltare l’accrescimento numerico e il peso geopolitico dei regimi autoritari, spesso nati intorno alla promessa di liberazione universale. Si potrebbe continuare così a lungo, senza però riuscire a cogliere le vere ragioni di tali pendolarismi né a suscitare l’interesse di coloro che rispondono a questi rilievi con la constatazione che, nella storia dell’umanità, sono sempre esistiti i contrasti più radicali, destinati a riproporsi in varie forme nel tempo. A questa obiezione, che si ripresenta con una sconcertante e puntuale impossibilità di argomentazioni definitive sia da parte di chi sostiene la drammatica novità dei tempi odierni, sia di chi replica sulla ripetitività delle crisi indotte da divergenze estreme, è oggi opportuno segnalare un luogo cruciale dove si tenta di rispondere in maniera completamente nuova alle differenze ontologiche che da sempre ci costituiscono. Mi sto riferendo a quelle polarità fino a oggi considerate costitutive dell’umano che ne condizionano in radice le attitudini, le capacità ermeneutiche e simboliche, le azioni, le scelte: il femminile e il maschile. La via che oggi una parte significativa della cultura, soprattutto occidentale, sta proponendo di percorrere è quella, non più di mediazione dialettica – e, sperabilmente, dialogica – tra diversità destinate a convivere e compenetrarsi – in modo più o meno equilibrato – e neppure quella di lotta e rivendicazione per raggiungere un’effettiva parità di status. È invece quella di una pluralizzazione delle forme classiche di identificazione nei generi femminile e maschile, espresso dall’acronimo lgbt ormai presentato come descrittivo della nuova sessualità e, dunque, a sua volta divenuto un 'classico' in via di continuo superamento col sorgere di numerose altre “declinazioni”. Che cos’è che si rivela in questa proliferazione di opzioni di genere? Qualche cosa che va al di là del pur enorme peso che la fluidificazione sessuale porta con sé: la manifestazione dell’incapacità – o consapevole rifiuto – della nostra epoca di operare e mettere in atto comportamenti, scelte, azioni di mediazione tra polarità difminile- ferenti. L’opposto pendolarismo tra artificializzazione sempre più profonda della corporeità – dagli interventi estetici, al processo generativo per arrivare fino alle proposte del cyborg – e l’esaltazione sempre crescente dell’istintualità emotivistica sopra ricordate ne sono prove lampanti. Ma è proprio con l’abbandono progressivo di ogni capacità-volontà di instaurare una dialettica mediatrice all’interno della polarità fem- maschile, che da tempo aveva imboccato le vie di profondi – e sacrosanti – ripensamenti delle sue interne dinamiche con richieste di risignificazione e risemantizzazione, e di riequilibri negli assetti sociali e politici, che si è manifestata la via, alternativa e nuova, dell’accoglimento di ogni possibile sfaccettatura di determinazioni dei due poli originari della sessualità. Perché, infatti, definire, secondo i binari restrittivi di una dualità solo apparentemente maggioritaria, i confini delle nostre appartenenze identitarie – poiché indubbiamente la nostra iscrizione a un ambito sessuale o a un altro ci identifica – e non accogliere invece ogni forma di esercizio della sessualità secondo una prospettiva di variegata totipotenza? La soluzione che viene prospettata promette di ampliare lo spazio della libertà individuale realizzando, marcusianamente, una democrazia finalmente piena, ma, al contrario, corre il rischio di dissolvere ogni identità, svuotando drammaticamente di senso e prospettiva ogni possibile relazione affettiva. Il pluralismo delle opzioni di genere, infatti, si fonda sul presupposto di un “vuoto” di senso nell’appartenenza all’uno o all’altro genere biologico, non essendo più questi ritenuti portatori di alcun contenuto. Di contro, centrale diviene la percezione individuale del sé ribaltando così alla dimensione, in senso lato, culturale, quanto veniva precedentemente ascritto al dato biologico come determinazione originaria. Credendo così di liberarsi dalle costrizioni delle determinazioni biologiche, si finisce per optare per una sudditanza a quelle imposte dal contesto storico- culturale che ci ospita. Questo, però, pur concorrendo alla nostra formazione, non è certamente il solo fattore a determinare lo sviluppo umano, così come da molto tempo la psicoanalisi ha spiegato quanto poco pulsioni e desideri siano espressione originaria e integra della libertà di ciascuno. Anche in questo contesto delicatissimo, come quello dell’adesione sempre rinnovata alla femminilità o mascolinità di ciascuno, passaggio che presiede alla costruzione dell’apparato simbolico, verbale, decisionale, affettivo, razionale, in breve alla costruzione dell’identità di ciascuno, ciò che manca è la capacità/volontà di operare una continua mediazione dialogica con la differenza che l’altro polo continuamente ci presenta e rappresenta. Questo richiede fuoriuscita dai recinti di un sé autoreferenziale, apertura alla diversità, volontà dialogica, superamento del narcisismo cui è fin troppo facile, per tutti, indulgere. Le dinamiche inceppate della dialettica originaria della sessualità, poi, sono quelle che si condensano nell’individualismo autoreferenziale e trionfante soggiacente alle opposte polarità inizialmente ricordate. Sarà un caso che le aspre critiche alla disumanizzazione del neoliberismo o all’accelerazionismo produttivistico e finanziario rimangano senza risposte efficaci?