sabato 18 marzo 2023
Una nuova edizione della “Teogonia”: il cantore-pastore racconta gli dèi, non li adora. Venera solo le Muse, come faranno Foscolo e Dylan Thomas
"Esiodo e la Musa" (1891) di Gustave Moreau (particolare). Parigi, Museo d'Orsay

"Esiodo e la Musa" (1891) di Gustave Moreau (particolare). Parigi, Museo d'Orsay - WikiCommons

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I poeti dovrebbero essere esclusi dalla città ideale: la famosa, sorprendente condanna di Platone. Principale indiziato addirittura Omero, il quale con Esiodo e i tragici, secondo Socrate - portavoce e alter ego di Platone - rappresenta un ordine divino inaccettabile. Certo gli dèi possono compiere malvagità e inganni, tramutarsi e mentire: ma i poeti non esaltano questa realtà del divino, la rappresentano tragicamente. Atena che nell’Iliade causa con l’inganno la morte di Ettore, Posidone che perseguita Ulisse, la toccante vicenda della ninfa Calipso che, innamorata di Ulisse e costretta da Zeus a lasciarlo, inveisce contro gli dèi «invidiosi di una divinità che ami un uomo». E, nella tragedia, Prometeo, il dio incatenato alla rupe sul mare, punito da Zeus per aver troppo amato l’uomo donandogli il fuoco. Omero, Eschilo, i tragici e i lirici greci non esaltano questi dèi (se non Dioniso e Venere, giustamente), ma ne svelano la natura oscura, inafferrabile dall’uomo. Cercando altro, altrove: Prometeo, V secolo a.C., è un dio praticamente crocifisso, che si libererà trionfando. Questa condanna è in contraddizione con la definizione che il filosofo diede della poesia come “dono del delirio”, e con la sua natura di autore: Platone, come molti poeti, si esprime per miti, per visioni. Pensiamo alle Sirene, le terribile volatili che incantano i navigatori sprofondandoli nell’abisso, le Sirene che Ulisse deve e riesce a evitare. In Platone divengono esseri celestiali, che vede in un sogno, nella contemplazione dell’armonia delle sfere. «E in alto sopra ognuno dei suoi cerchi stava una Sirena, che veniva portata in giro nelle rivoluzioni e che emetteva un unico suono, un’unica nota. Da tutte e otto risuonava un’unica armonia». Platone racconta di una visione estatica, come faranno secoli dopo Dante nel Paradiso e i grandi poeti mistici islamici, Al Ghazali, Rumi, una di quelle esperienze in cui ci si trova al cospetto dell’armonia stessa del cielo. Dei tre sommi indiziati, anche Esiodo non merita l’accusa, peraltro errata, poiché compito del poeta non è insegnare il bene o inventare nuove religioni per migliorare la morale dei cittadini. Esiodo, vissuto nel VII secolo a.C., nella sua Teogonia, poema straordinario, rappresenta la nascita del mondo e la realtà del divino che è alla base dell’artista greco, da Omero a Saffo a Fidia, ma improntata a una costola di origine orientale: la visione dei sacerdoti del culto di Apollo delfico, ove fondamento dell’universo e della sua armonia è l’attrazione tra il Caos, originario, e Gaia, la Terra, sostenuta da Eros, Amore. Il mito greco si permea di altri più trascendenti del Vicino Oriente e dell’Egitto, e la nascita del mondo è narrata come un’epifania in cui le Muse, dee supreme, incontrano Esiodo, che era un pastore, e fanno di lui un poeta, depositario di una sapienza naturale, misteriosa, profonda. La Teogonia, che ora Einaudi propone con la curatela eccellente di Graziano Arrighetti (pagine 154, euro 10,00), è un poema sulla genesi della vita: le origini, l’incontro tra il Chaos, e Gaia, e poi il regno di Zeus, ma il poeta si rivolge alle Muse come fondatrici e salvatrici del mondo: « Esiodo – scrive il curatore – non manifesta alcun sentimento di particolare pietà o venerazione per le divinità di cui parla, e di cui narra la potenza, ad eccezione, naturalmente, delle Muse, che sono le sue dirette protettrici ». Qui l’originalità dolcemente eretica del poeta: rappresenta la nascita del mondo, le sue forze, non si oppone alla lettura mitica di queste, come farà il latino Lucrezio, non vi contrappone un’altra visione. Insufflato da spiriti orientali, lascia quel mondo divino al suo mistero: non lo adora, lo racconta. Adora, invece, le Muse: quelle che adoreranno poi Foscolo e Dylan Thomas, una non dichiarata ma potente religione poetica dell’uomo.

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