Con il campionato fermo - si ricomincerà domenica con sfide scudetto del calibro di Napoli-Fiorentina e Inter Juventus - avrei dovuto parlare di motori. Del Valentino Rossi che a tre Gp dalla fine del Motomondiale conserva 18 punti di vantaggio sull'irascibile Jorge Lorenzo. O della Rossa di Maranello che strappa un altro secondo posto a Sochi con Vettel, la sua Ferrari finisce dietro la Mercedes del campionissimo Hamilton (entrambi festeggiati persino da Putin). Ma invece l'attualità del calcio azzurro impone una riflessione d'uopo sulla fenomenologia di Antonio Conte.Non è un simpaticone, è avaro di sorrisi e di carinerie, fuori e dentro il campo. Ha una visione del calcio come fatica, sacrificio ed espiazione, però va dato a Conte ciò che è del cupo Antonio: con lui i conti in classifica tornano sempre. Prese una Juventus che galleggiava nell’aurea mediocritas del 7° posto e l’ha portata al “triplete tricolore”: tre scudetti di fila. Poi un anno fa è vero, si è sbagliato quando ha pensato che quelli di casa Agnelli lo avrebbero fatto sedere al tavolo della trattoria sulla collina invece che al miglior ristorante stellato sotto la Mole. Così si è alzato sbuffando prima che la cena cominciasse e il suo successore Max Allegri ha rischiato la grande abbuffata: 4° scudetto consecutivo, Coppa Italia e finale di Champions persa nell’ultimo quarto d’ora con il Barcellona di Messi. Una svista d’autore che lo ha reso ancora più cupo all'Antonio, distante dal resto del calcio italiano, eremita in una Coverciano che gli va stretta e dalla quale un giorno sì e l’altro pure fa capire che sta per preparare la fuga. Nella sua testa da Trapattoni del terzzo millennio o se preferite del Mourinho del Salento, sogna una fuga, ma con la vittoria. «Vinco l’Europeo a Parigi e scappo», questo certo pensa il capo dei 60 milioni di italiani, che sì sa, sono tutti ct della Nazionale. Conte il ruolo di leader massimo di tutto il popolo italico lo sta incarnando al meglio. I conti tornano: primato assoluto nel girone, frutto di 9 gare in cui gli azzurri hanno conquistato 6 vittorie e tre pareggi. Secondo attacco (14 reti, contro le 19 della Croazia, terza in classifica) e miglior difesa, 6 gol subiti. Come alla Juve, anche in Nazionale il cupo Antonio ha trovato materiale tecnico discreto, ma non di primissima qualità. Tranne i tre campioni del mondo, stagionati, Buffon, De Rossi e Pirlo, c’era da fare, motivare e rifondare. L’unica garanzia era la sua difesa, quella della Juventus, con i fedelissimi Bonucci, Barzagli e Chiellini pronti a immolarsi per la causa contiana. Tutto il resto era e forse resta da inventare. Compresa la sua conferma sulla panchina: prendere o lasciare un contratto che lo legherebbe fino al 2018? Questo è il suo dilemma, e qui i conti non tornano. Nonostante una qualificazione ottenuta 90 minuti prima dell’ultimo round con la Norvegia (che vale il primo posto e il ballottaggio con il Belgio per la prima fascia, a patto che rifiliamo una cinquina ai norvegesi) sopra la testa di Conte si addensano nubi di dubbi. C’è un capitolo scommessopoli che lo vede imputato e che va affrontato e vinto a tutti i costi. C’è una smania di ritorno a lavorare per un club che va tenuta a freno, perché per uno stakanovista quotidiano come lui allenare una squadra tutti i giorni non è la stessa cosa che fare il restauratore part-time di quel che resta del nostro calcistico prodotto interno lordo. C’è poi una critica che non gli perdona mai nulla e che già va in cerca del suo erede designato. Così, mastro Mario Sconcerti ha già nominato sul campo come futuro condottiero azzurro Alessandro Del Piero. Un campione del mondo del 2006 il Pinturicchio, un vincente con pedigree juventino (come Conte), un uomo più dialettico e sorridente del cupo Antonio e per di più icona pop di rango internazionale ("Alex San" il più amato dai giapponesi). Vista così, il passaggio di consegne avrebbe la benedizione di tutti i 60 milioni di ct, ma prima, piccolo particolare, ci sarebbe un Europeo da affrontare e magari da riportare a casa, cosa che non accade da un lontano, caldo e rivoluzionario 1968. E visto che la prossima primavera per Euro 2016 si vola in Francia, consigliamo fin da ora al cupo Antonio di far suo quel motto del maggio parigino: «Ce n’est qu’un début, continuons le combat».