La parola ora passa al Comitato olimpico internazionale (Cio), ma il sasso è stato lanciato. L’esclusione della Russia dai Giochi di Rio 2016 sembra più vicina dopo la presentazione da parte della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, del rapporto redatto da una commissione indipendente diretta dall’avvocato esperto in diritto sportivo Richard McLaren. Un centinaio di pagine che esaminano il comportamento delle autorità sportive e antidoping russe negli ultimi anni e in particolare durante i Giochi invernali di Sochi 2014 e che delineano un vero e proprio sistema di «doping di Stato ». Secondo quanto scritto da McLaren i vertici dello sport e dell’antidoping russo avrebbero coperto gli atleti «positivi» e organizzato un sistema per sostituire i campioni «non negativi» con l’aiuto del Fsb, il servizio segreto e del Ministero dello Sport. Uno scenario, quello descritto dal rapporto che confermerebbe quanto già detto al
NewYork Timesda Gregory Rodchenkov, ex direttore del laboratorio antidoping di Mosca, ora residente negli Stati Uniti e che allungherebbe ombre su altri sport (si parla di 312 «manipolazioni») fino alle Olimpiadi invernali di Vancouver 2010. Accuse che se confermate e ritenute valide dal Cio potrebbero portare all’accoglimento della richiesta della Wada e di 10 comitati olimpici nazionali, quello Usa in testa, di escludere la Russia dai Giochi di Rio. Un bando che sarebbe inedito e che farebbe seguito a quello che già è in vigore per la “regina” delle Olimpiadi, cioè l’atletica. Infatti a seguito di un’inchiesta condotta da un’altra commissione (tra cui i componenti c’era lo stesso McLaren) in pista e in pedana nessuno infatti correrà o salterà sotto la bandiera russa. Solo due, a meno del verdetto positivo del Tribunale Arbitrale dello Sport sul ricorso di 67 atleti (tra cui la due volte campionessa olimpica dell’asta Yelena Isinbayeva) lo faranno sotto quella del Comitato olimpico internazionale. Sono la lunghista Darya Klishina e la mezzofondista Yulia Rusanova, quest’ultima una delle persone che insieme al marito, Vitaliy Stepanov ex dipendente dell’agenzia antidoping russa, ha dato l’avvio alla bufera doping sulla Federazione russa. Il presidente russo Vladimir Putin assicura: «Tutti i dirigenti pubblici accusati nel rapporto Wada saranno temporaneamente sospesi dai loro incarichi fino alla fine delle indagini ». Poi però promette battaglia: «La comunità internazionale è testimone di una pericolosa ricomparsa della politica che interferisce con lo sport. Il movimento olimpico, che ha un colossale ruolo unificatore per l’umanità, potrebbe di nuovo trovarsi sull’orlo di una scissione», come ai tempo dell’Urss e dei boicottaggi. Se gli atleti russi rischiano di non andare a Rio 2016 per le decisioni degli organi di governo dello sport mondiale, altri partecipanti attesi hanno scelto di dire “no” alla rassegna brasiliana. Alcuni per ragioni legate alla loro carriera o alla forma, come il neocampione Nba LeBron James, il suo avversario nella Finals Stephen Curry o il ciclista Alberto Contador. Altri invece per paura, quella per il virus Zika. Una pattuglia di rinunce che si è ingrossata con l’avvicinarsi dei Giochi. Una ventina di golfisti, tra cui i primi 4 del ranking mondiale (Dustin Johnson, Jason Day, Jordan Pieth e Rory McIllroy), qualche tennista, come il canadese Milos Raonic fresco finalista perdente a Wimbledon 2016 o la romena Simona Halep, numero 5 del mondo a alcuni atleti come il ciclista Usa Tejay van Garderen. Spera ancora invece Alex Schwazer. Il tribunale di Losanna ha rigettato la richiesta di sospendere lo stop per doping, ma il marciatore ha ancora uno spiraglio per Rio: prima dei Giochi ci sarà una decisione nel merito. «Mi sembra una scelta intelligente – dice il presidente del Coni, Giovanni Malagò – ora però facciano in fretta».