domenica 19 febbraio 2017
Il film “Il diritto di contare” racconta la storia di tre matematiche afroamericane della Nasa. Parla l’ultima sopravvissuta
Una scena di “Il diritto di contare” diTheodore Melfi, candidato a tre premi Oscar

Una scena di “Il diritto di contare” diTheodore Melfi, candidato a tre premi Oscar

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È già candidato a tre Oscar. Il film Il diritto di contare sbarca anche in Italia, e porta sul grande schermo la vera storia di tre donne afroamericane con il sogno di conquistare lo spazio. Un sogno che poi si è realizzato grazie al loro talento in matematica e per la scienza, alla loro pazienza e capacità di adattarsi a un mondo e a un’epoca in cui i pregiudizi erano ancora predominanti. Le protagoniste del film, in anteprima in Italia martedì e in 40 sale dall’8 marzo, sono le matematiche afrostatunitensi Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson. «All’epoca erano macchine molto grandi, con capacità di calcolo irrisorie rispetto a ciò che i più potenti calcolatori riescono a fare oggi. Ma sono quelle le macchine che hanno inviato gli astronauti americani sulla Luna» spiega Katherine Johnson, l’unica delle tre rimasta in vita, oggi 98 anni, e una medaglia al merito che le è stata conferita di recente da Barack Obama.

Grazie alla sua passione per la scienza e la matematica, ha elaborato i calcoli dettagliati delle traiettorie che poi avrebbero permesso ad Alan Shepard, John Glenn e altri eroi della prima fase della conquista spaziale americana, fino all’epica impresa lunare dell’Apollo 11, culminata con lo sbarco di Armstrong e Aldrin sulla Luna. «Era una fase dell’astronautica dove alla base c’era la matematica – tiene a precisare Katherine Johnson – che è fondamentale ancora oggi, ma con computer sempre più potenti. E senza la quale non potremmo far ruotare nessun satellite e mandare nessun oggetto nello spazio. E non potremmo fare tante altre cose».

Il film, diretto da Theodore Melfi, e basato sul libro Hidden Figures di Margot Lee Shetterly, ripercorre la storia delle tre scienziate matematiche e informatiche, interpretate da Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe (con Kevin Costner nei panni di uno dei direttori del programma spaziale) è anche un vero inno al riscatto delle donne afroamericane, e ai pregiudizi razziali. «Io mi occupavo in particolare delle traiettorie di rientro nel-l’atmosfera, al termine delle missioni, per la capsula Mercury – dice Johnson - e più in generale delle traiettorie orbitali. Erano le prime navicelle a portare nello spazio gli astronauti, ed erano fasi molto delicate e pericolose, quando a causa dell’attrito le capsule, con lo scudo termico, entravano in una scia di fuoco. Io mi occupai delle due versioni: del volo suborbitale, dei voli di Shepard e Grissom, e poi dei successivi voli orbitali inaugurati da quello di Glenn». Erano tempi pionieristici anche per chi calcolava la traiettorie delle missioni: «Infatti la maggior parte dei calcoli delle traiettorie le feci con carta e penna – conferma la Johnson – Anche quando Glenn era nello spazio molti calcoli li feci in questo modo.

L’importante era che fossero giusti...». Se la Johnson si occupava dei calcoli sulla traiettorie, la Vaughan si occupava di programmazione e linguaggio dei computer, e la Jackson si divideva tra i computer e i test di volo delle navicelle. C’erano molti parametri da conoscere, i due tipi di missione erano diverse e il rientro avveniva a velocità diverse. Ma fu con il successo dei calcoli di quelle traiettorie di rientro che fu possibile fare tesoro delle conoscenze per far rientrare le navicelle Apollo di ritorno dalla Luna. Naturalmente, ha conosciuto gli astronauti di quell’epoca: «Sì, certo. Spesso ci consultavamo con loro. John Glenn? Era un’ottima persona e un grande astronauta. Molto meticoloso, come tutti gli astronauti. Con lui ci fu una fattibile e piacevole collaborazione. Ed era molto interessato e affascinato, come lui stesso ci disse, dal nostro lavoro.

Dopo una verifica dei calcoli da terra con il computer, i funzionari mi chiamarono a lavorare sulle orbite della Mercury proprio su espressa richiesta di Glenn». È vero che all’inizio eravate messe un po’ da parte? - chiediamo: «La segregazione era un fatto all’epoca. I ricercatori bianchi, uomini e donne, da una parte, e noi dall’altra...Quando poi mi hanno trasferita dal mio primo ufficio a quello che si occupava di 'Ricerca Volo Spaziale' e mi sono seduta sulla mia poltrona tra tante altre persone, c’era un tizio accanto a me che si era commosso. Un bel ricordo». Il Programma Mercury non è stato l’unico a cui Katherine Johnson, così come Mary Jackson e DorothyVaughan, ha preso parte. Hanno avuto un ruolo importante poi per le successive imprese Apollo per la conquista della Luna: «In particolare per Apollo 13, una missione che si trovò in emergenza assoluta ed era necessario rifare molti calcoli di traiettorie per far tornare a Terra salvi gli astronauti – ricorda la scienziata afro-americana – Ho poi collaborato agli inizi del Programma Shuttle, e ai satelliti ERS per il telerilevamento».

È sempre stata appassionata di scienza e matematica, fin da bambina?: «Ero un po’ matta!... No, scherzo, ero una bimba normalissima. A scuola, alle elementari ero la più giovane e la più piccola fisicamente. Rispondevo velocemente alle domande degli insegnanti. Ma è proprio ai tempi delle scuole primarie che ho iniziato ad appassionarmi alla matematica. Ma in realtà da bambina volevo fare tante cose. Ma poi ho capito che la mia strada era quella». Secondo Katherine Johnson Il diritto di contare è una bella storia «perché dimostra che se vi sono ragazze di talento, che vogliono intraprendere questa carriera, possono farlo. Basta andare avanti, e con passione e determinazione. Eravamo preparate, e abbiamo colto l’occasione giusta».

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