L'attrice Annamaria Spina in un momento del suo spettacolo "Sei mia!".
Laura, 22 anni, è in macchina con Nino, il suo ex fidanzato. Discutono. Lei lo prega di lasciarla in pace perché ormai è finita tra loro. Lui non ci sta, comincia a picchiarla violentemente e giù schiaffi, pugni, calci… «Tua madre non la vedrai più! Vuoi morire col cric o bruciata?», le urla in faccia in dialetto siciliano. Ridotta a una maschera di sangue e terrorizzata Laura tenta di scappare ma Nino la riacciuffa per i capelli e la riporta in macchina… Sembrano fotogrammi di uno dei tanti, troppi, quasi quotidiani, fatti di cronaca di violenza sulle donne (non è mai pleonastico ricordare che in media ogni due giorni una donna in Italia viene uccisa dal proprio partner). In realtà quella scena è stata vissuta veramente nel 1993 dall’attrice catanese Annamaria Spina.
Ma non è solo cronaca perché a un livello di realtà ancora ulteriore il breve racconto di apertura è tratto dal monologo Sei mia! da ormai tre anni in tournée in Sicilia nei teatri, nelle scuole, in qualunque spazio in cui Annamaria Spina, che ne è autrice insieme ad Antonietta Sturiale, possa instancabilmente denunciare la drammatica radicalizzazione di questo aberrante fenomeno, indicarne i possibili rimedi e al contempo gridare al mondo: «Sono viva! L’ho scampata!». Ma come ha fatto a uscirne viva l’allora poco più che ventenne ragazza siciliana da quella macchina che stava per diventare la sua tomba? Come ha vinto la furia omicida del suo ex fidanzato? Grazie a chi? A cosa? Grazie a Dio! E per Annamaria questa non è un’esclamazione retorica. Il Signore viene chiamato in causa spesso anche nel suo monologo: a Lui affida i suoi due figli, a Dio chiede giustizia, «quella vera, l’unica che può salvare l’umanità», solo Dio conosce e può vedere le profonde ferite della sua anima che non si rimarginano come quelle del corpo, quel Dio invocato quando il suo corpo «sanguinava sotto i colpi di quel bruto», l’unico Dio che poteva fermare quella mano che non trova pace. «Fermala prima che mi uccida!», fu il grido interiore, disperato e soffocato di Annamaria in quella terribile sera del ’93. E fu il suo «angelo protettore, con il volto di Dio», così come viene riportato nel monologo, a suggerirle la salvezza secondo l’indicazione evangelica «siate astuti come i serpenti e puri come le colombe». L’allora poco più che ventenne Annamaria riuscì, infatti, a calmare il suo carnefice dicendogli che lo avrebbe sposato, si fece portare in ospedale, lì scattò la denuncia, il suo calvario fisico ebbe fine, «quello dell’anima ebbe inizio».
C’è un altro risvolto poi ancora più drammatico in quel frangente già di per sé tragico che non viene elaborato nella pièce teatrale ma che la stessa attrice ci svela: «Quando il mio ex venne a prendermi a casa quella terribile sera io intravidi nella tasca del suo pantalone un coltello. Allora potreste chiedermi perché sono uscita comunque con lui… Perché all’epoca mio padre era malato di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) e quindi in una posizione di grande debolezza, nemmeno poteva difendermi ovviamente mia madre. Quindi accettai di uscire perché almeno se doveva uccidere, avrebbe ucciso solo me. Pensavo così di evitare una strage in famiglia, perché sapevo che lui era pronto a tutto». Da questo svelamento emerge chiaramente che Annamaria Spina, oltre a essere un’interprete di grande presenza scenica, oltre a saper calibrare con sapienza il delicato equilibrio fra verità e narrazione, rappresentazione ed emozione, è soprattutto una forza della natura e della fede. È diventata in questi anni una paladina della difesa dei diritti delle donne abusate e non smette un istante di lottare affinché la giustizia faccia il suo corso perché non c’è un vuoto legislativo ma spesso, purtroppo, una mancata applicazione della legge: «Ma quando una donna va al pronto soccorso con delle fotografie che testimoniano le percosse subìte perché non scatta subito l’arresto?», ci chiede con fervore Annamaria.
Lo stesso con cui ripudia il termine “femminicidio” («è discriminante, non diciamo mica “maschilicidio”, quindi preferisco omicidio di una donna»); lo stesso ardore che comunica a teatro, nelle conferenze e in particolare nelle scuole perché convinta che alla radice della violenza contro le donne ci sia un problema di distorsione culturale: «siamo viziati dall’idea del possesso. «L’espressione “sei mia!” è da abolire ed è da evitare la persona che la afferma, mi fa rabbrividire». Mentre invece esulta l’animo di Annamaria Spina quando a tale proposito le ricordiamo le parole di San Francesco: «Il contrario dell’amore non è l’odio, ma il possesso».