L’azzurra della scherma Elisa Di Francisca, 36 anni, pronta per i Mondiali di Budapest
Quando la notte del 4 agosto 1992, a Barcellona, si apriva ufficialmente la lunga era del Dream Team della scherma femminile italiana, Elisa Di Francisca non aveva ancora compiuto dieci anni. Quello era il primo titolo olimpico vinto dalla Nazionale composta da Diana Bianchedi, Francesca Bortolozzi, Giovanna Trillini e Margherita Zalaffi. Inno di Mameli intonato a squarciagola nel salotto di casa Di Francisca, con la stessa intensità con cui Alice canta Per Elisa. Il sogno di Elisa, tatuato anche sul tricipite sinistro, con la scritta «muore lentamente chi evita la passione e chi non rischia la propria sicurezza per l’insicurezza di un sogno », inizia da lì. Sguardo di tigre, fisico da gazzella, movenze sinuose da danzatrice (in coppia con Raimondo Todaro ha vinto Ballando con le stelle nel 2013) e carisma gitano, Elisa Di Francisca, figlia di padre siculo, di Villarosa («un paesino in provincia di Enna di cui sono cittadina onoraria»), è stata l’allieva prediletta nella premiata ditta “Scuola di scherma di Jesi”. Una cittadella dello sport quella marchigiana, che con i suoi 40mila abitanti è assurta a capitale della scherma ed è anche la patria del ct della Nazionale di calcio, Roberto Mancini. «Un predestinato Roberto, uno che è rimasto sempre umile, quando torna a Jesi lo vedi insieme agli amici di sempre». Nonostante sia una delle stelle fisse dello sport italico, tiene i piedi per terra anche l’esuberante Di Francisca, cresciuta in fretta sotto l’occhio altrettanto paterno del maestro Ezio Triccoli che a sua madre predisse: «Elisa diventerà una grande schermitrice». A 13 anni infatti è campionessa italiana: brucia in fretta tutte le tappe, mentre il Dream Teamcolleziona altri tre ori olimpici: ad Atlanta ’96, Sydney 2000 e Atene 2004. Questo è l’anno del suo decollo, 22enne debutta in Nazionale e conquista l’oro nel fioretto a squadre ai Mondiali americani.
Alla vigilia del Mondiale di Budapest, partiamo da qui, da quella sua prima medaglia iridata sotto le mille luci di New York.
Avevo l’onore e l’onere di far parte di una squadra composta da tre grandi: Valentina Vezzali, Giovanna Trillini e Margherita Granbassi. Ricordo che avevo i crampi allo stomaco: da un lato speravo che non mi chiamassero a salire in pedana, dall’altro smaniavo, sentivo che era giunto il momento di dimostrare a tutti quanto valevo veramente.
Vezzali e Trillini due fuoriclasse ma forse anche un “tappo” per un’emergente, una tipa “rock” come lei?
A me, e non solo, Valentina e Giovanna hanno insegnato tanto, e in un tempo in cui scarseggiano i punti di riferimento loro hanno rappresentato dei “modelli”. Tornassi indietro le rivorrei sempre al mio fianco. Noi più giovani eravamo un po’ più allegre, con vite più spericolate, alla Vasco. La Vezzali invece era sempre seria, a volte un po’ pesante, però la sua presenza serviva a far alzare costantemente l’asticella e di questo ne beneficiava tutta la squadra.
La Vezzali ha anche aperto la via alle “mamme olimpiche”.
Beh, Valentina per due volte è andata in maternità ed è tornata competitiva e vincente come prima, lanciando forte e chiaro il messaggio: si può essere mamme e al contempo sportive di altissimo livello. Io l’ho capito due anni fa quando è nato Ettore...
Era il luglio 2017, da allora quanto è cambiata la vita di mamma Di Francisca?
Ho imparato a dividermi nei due ruoli senza trascurare mio figlio né questo meraviglioso mondo della scherma. L’oro vinto agli ultimi Europei è la dimostrazione del lavoro duro e della grande forza di volontà che ho acquisito nel tempo. La stessa volontà che c’è voluta per perdere i 16 chili presi durante la gravidanza. Ettore è sempre con me, anche adesso, qui nel ritiro di Cascia, e questo grazie a una federazione che ci tutela, ed è l’unica, credo, che consenta di conservare il posto nel ranking nazionale in caso di assenza dalle gare per maternità.
Nel ranking internazionale lei era al vertice già nel 2008, eppure non riuscì a staccare il pass per le Olimpiadi di Pechino...
Quello è stato un brutto colpo, ma anche un momento di crescita in cui ho capito che il «sei brava ma non ti applichi» è un limite che alla fine paghi a caro prezzo. Fino ad allora vincevo una gara a mani basse e poi ne sbagliavo tre di fila. Soffrivo le pressioni, volevo divertirmi e vivere spensierata la mia età. Era un problema di concentrazione, perciò quell’esclusione mi è servita per maturare.
Quattro anni dopo infatti ai Giochi di Londra la consacrazione: oro nel fioretto individuale.
Ero arrivata a Londra carica, convinta di poter spaccare il mondo, consapevole che dovevo raccogliere quanto avevo seminato in quei quattro anni in cui mi resi conto per la prima volta che c’è un tempo per tutto. E quello era il tempo di dare una sterzata alla mia carriera.
Dopo l’oro olimpico di Londra, spiazza tutti e vola nelle missioni africane.
Sono andata in Kenya con Greta, una responsabile della onlus “WeWorld”. Fino a quel momento avevo ricevuto tanto e quindi mi sentivo in dovere di restituire qualcosa a chi sta messo molto peggio di noi. È stata un’esperienza umanamente fortissima che mi ha cambiato dentro. Ora anche Greta è diventata mamma e ci siamo ripromesse che quando i nostri figli saranno un po’ più grandi torneremo in Kenya per mostrargli come vivono quei bambini che pur non avendo niente possiedono un’incredibile capacità di sorridere alla vita.
Anche suo figlio sorride nel vedere mamma Elisa che tira in pedana, potrebbe salirci presto anche lui?
Ettore è la mascotte, in questo momento sta respirando solo aria di scherma, dai ritiri alle gare: le medaglie che vinco finiscono appese alla sua culla. A me sinceramente piacerebbe indirizzarlo verso altri sport che abbiano dei valori forti da trasmettere, tipo il rugby. Il calcio? Meglio di no, è troppo inflazionato.
Nelle altre discipline, dal calcio alla pallavolo, la Nazionale è sempre più multietnica, nella scherma invece non si vedono atleti di colore, nè figli di stranieri.
Ma se ce li mandano noi li accogliamo a braccia aperte. Siamo uno sport d’élite con una forte selezione ma anche con un grande ricambio a livello internazionale e credo che vada bene così. A noi non servono persone che parlano a vanvera, e tanto meno quelli che si ricordano che esistiamo solo ogni quattro anni perché saliamo sul podio.
A chi deve qualcosa di importante e cosa gli ha insegnato questo sport “non per tutti”?
Devo tanto a Stefano Cerioni. Quando se ne è andato per diventare il ct della Russia è stato un altro momento di crescita per la sottoscritta. La scherma mi ha dato una grande educazione, mi ha insegnato il rispetto per l’altro e soprattutto mi ha reso più veloce nel trovare le soluzioni anche nella vita di tutti i giorni. Se c’è qualcosa da aggiustare, Elisa in poco tempo sistema tutto, e spesso anche bene.
Totti ha smesso con il calcio a 40 anni suonati, Valentino, classe 1979, non riesce a scendere dalla moto, idem la Piccinini nel volley e Buffon continua ad andare in porta a 42 anni. La Di Francisca fino a quando pensa di restare in pedana?
Fino alla cinquantina? Tombola ! – ride divertita – No, Elisa è agli sgoccioli... C’è Alice Volpi che sta facendo passi da gigante, sarà la la mia erede naturale. Non è mai facile lasciare, ed è dura per tutti ritrovare la stessa adrenalina che ti sa regalare lo sport di vertice. Però, soprattutto una donna è la dimostrazione vivente di chi può e deve saper fare più cose. Perciò vorrà dire che quando smetterò mi dedicherò di più a fare la mamma e cercherò di lavorare nella comunicazione. Amo il “social”, ma quello delle relazioni umane vere e dirette.
Obiettivi da Budapest in poi?
Se vinco il Mondiale mi sposo con Ivan Villa – sorride – Non è un voto che ho fatto qui a santa Rita da Cascia, il matrimonio era già fissato per il 4 settembre. Poi se Dio vuole proverò a stupire ancora tra un anno... Ettore vuole venire anche alle Olimpiadi di Tokyo.