Alcune delle trecento immaginette realizzate da Nadia Nespoli per il santuario della Madonna delle Grazie di Ardesio, in Alta Val Seriana
Trecento volte la Madonna delle Grazie, sempre lei e sempre diversa, un muro di immagini, anzi di “immaginette”. È l’installazione realizzata da Nadia Nespoli al santuario di Ardesio, alta Val Seriana, terra bergamasca. L’artista le ha dipinte a mano una a una, restando fedele alla iconografia tradizionale e, come vuole il senso autentico della tradizione, riconsegnandola reinterpretata alla luce del presente. Il muro di “Immaginette contemporanee” sarà visibile da domani a domenica presso la Casa del Pellegrino in occasione della seconda edizione del festival cinematografico “Sacrae Scenae”, il primo dedicato alle devozioni popolari: i visitatori e i pellegrini sono invitati a scegliere un’immaginetta e portarla a casa.
Per quanto apparentemente superato dai tempi, il “santino” non sembra cessare di esercitare il suo fascino di oggetto affettivo, in cui il passaggio tra fede, affidamento e scaramanzia non è sempre ben definito. Un dispositivo iconico arcaico che abita tranquillamente la contemporaneità ma che la riflessione su sacro ed estetiche contemporanee sembra avere un po’ negletto.
«Ho iniziato a dipingere queste immaginette, una per volta, a febbraio – racconta Nadia Nespoli – ed è un lavoro durissimo, ma ti sostiene pensare che quanto realizzi può diventare qualcosa di importante per chi lo porterà a casa. Realizzare trecento “madonnine” vuol dire pregare. È una litania, un rosario continuo». Nespoli si occupa da tempo di questi temi: «Negli anni ho intervistato chi cura edicole, organizza processioni, si occupa di ex voto: è il lato umano che appartiene alla devozione popolare e allo stesso tempo questi fenomeni sono una continua installazione, una continua performance. Le stesse cerimonie, i riti, le processioni: sono qualcosa a cui l’arte contemporanea continuamente guarda e prende».
E una performance è di fatto il progetto di “Immaginette contemporanee”, consentendo al fenomeno privato dell’immagine devozionale di acquistare una dimensione comunitaria: «Il muro – osserva la curatrice Margherita Zanoletti – consente di pensare le immaginette come mattoncini e all’idea di comunità: un santuario appartiene a un popolo. Ma queste carte sono destinate a entrare nelle case: queste trecento immaginette diventano così un elemento di connessione proprio in virtù della loro unicità e irripetibilità, anelli di congiunzione tra il vissuto delle persone e il resto della comunità. Che è poi la dimensione della fede: individuale nella sua spiritualità ma comunitaria».
Il muro di “Immaginette contemporanee” è ispirato al muro di ex voto nello scurolo del santuario mariano. E agli ex voto è ispirato anche un altro progetto che sempre in questi giorni lavora la materia della devozione popolare attraverso le griglie dell’arte contemporanea. Siamo nel capoluogo, a Bergamo, nell’oratorio di San Lupo dove la Fondazione Bernareggi in collaborazione con l’ufficio diocesano per i Beni culturali, organizza da oggi fino al 26 settembre la mostra “Ex voto. Segni di memoria dopo la tempesta”.
Nell’insolito, verticale spazio settecentesco trovano posto il noto ex voto realizzato da Yves Klein per santa Rita da Cascia insieme a tavolette votive tradizionali e, soprattutto, gli oggetti legati al vissuto della pandemia portati dalle persone durante l’apertura della mostra. Messi in una piccola busta di plastica trasparente identica per tutti, verranno esposti con criterio seriale sulle pareti. Alcuni artisti bergamaschi, come Raffaele Sicignano, Valentina Persico, Viveka Assemberg, Maurizio Bonfanti, hanno già aderito e portato il loro contributo.
«Non possiamo più dare agli ex voto lo stesso significato che avevano nel passato – spiega Giuliano Zanchi, curatore della mostra insieme a Laura Vavassori Bisutti – Non si tratta di ringraziare il divino perché noi abbiamo superato la fase più intensa della pandemia di Covid-19: significherebbe accusarlo indirettamente della sofferenza di altri e della morte di chi non ce l’ha fatta. La gratitudine ha il valore più alto quando esce dalle logiche di scambio sul vita e su salute. In questo caso, l’ex voto assume più un senso di memoria, di ricordo, di gratitudine per coloro che si sono prodigati in attività di cura. E testimoniano il fatto che il tornare alla vita non sia poi una ovvietà».
La pandemia ha riacceso fragilità e paure che pensavamo appartenere al passato e allo stesso tempo come risposta ha riportato in auge pratiche devozionali storiche e forse anche una vecchia teodicea. «Ci siamo trovati di fronte alla permanenza del bisogno, rimasto intatto, e all’anacronismo della forma, e con essa del contenuto, delle risposte. La nostra idea è stata di riprendere confidenza con forme e pratiche che portano la polvere del tempo, con modalità e contenuti modificati. E in questa operazione di risignificazione di una pratica devozionale antica l’arte contemporanea ci è di aiuto».
Anche perché il rito, un altro dei bisogni negati emersi durante la pandemia, in essa è centrale: «La scomparsa del rito nella società è rallentata e reintegrata anche dall’arte di oggi, che ha rimesso al centro il fatto rituale nella sua valenza sociale. Nella mostra l’operazione artistica è il processo con il quale tutti coloro che lo desiderano potranno portare il loro contributo. L’opera non sarà la quantità di oggetti ma il movimento di persone di questo mese. È qualcosa di comunitario e intangibile. Ma non è forse così la liturgia?»