Il quartiere generale di Dazn vicino a Berlino - Ansa
Il caso Dazn certifica il fallimento della tecnologia al servizio dell’«uomo-tifoso», e ci fa comprendere che forse è giunto il tempo di metterci a dieta mediatica. Basta con il “calcio spezzatino” a uso e consumo esclusivamente delle piattaforme televisive. Già ma, obietta la “massa-tifosa”, senza i diritti tv come si fa a mantenere Cristiano Ronaldo alla Juve a 70 milioni l’anno?
Alla prigione dorata in cui ci siamo reclusi un po’ tutti, a cominciare dai “tifosi divanati”, pare che non ci sia più verso di evadere.
Così, per 30 euro al mese si è disposti ad accettare anche le dirette tv con fermo immagine impalato o addirittura perdersi la prima di campionato sperando, dietro furiose proteste, di massa ovviamente, di rimediare con la seconda giornata e magari anche qualche risarcimento danni. «Questioni di streaming» si difendono dalla centrale spaziale di Dazn. Ironia della sorte, un guasto della Rete minaccia la telecronaca delle reti gonfiate dai calciatori. Meglio le radiocronache, quando il risultato di prima mano arrivava solo da lì, dalle frequenze di Radio Rai. Dalle dirette sui campi collegati, (ininterrottamente cara/o Dazn dal 1959) da Tutto il calcio minuto per minuto. Era quello il nostro e il Tempo di Lucio Dalla che cantava: «Sembra solo ieri che la domenica, ci si chiudeva in casa con la radio. Vedevamo le partite contro il muro mica allo stadio».
Ma allora, perché non proviamo per una domenica, pardon un turno di campionato, a spegnere il video e accendiamo tutti la nostra cara vecchia radiolina. «Tornate alla radio. Tra l’altro non è vero che non abbia l’immagine, il bravo radiocronista sa evocarle», invita il saggio Riccardo Cucchi, ricciolo e voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto, che come noi si domanda: «Ma la Lega Calcio, prima di affidare la distribuzione del suo prodotto a un soggetto, non si è assicurata la qualità del servizio?». Evidentemente no, anche perché una volta incassati i «denari», la palla passa a Dazn e le sue sorelle, che al di là dei disguidi tecnici, è comunque la solita minestra riscaldata della pay-tv dominante, dal ’94 ad oggi.
Oltre alla radio, una volta terminata questa emergenza Covid ricordiamo al tifoso divanato che c’è ancora lo stadio. Che alle dirette no-stop, ossessive e nevrotiche dei gattopardi dell’etere, ci si può limitare anche a due-tre partite principali trasmesse in tempo reale e il resto analizzato in sintesi, in programmi pensati per un pubblico non solo affetto da letale e contagiosa “Febbre a 90’”.
Il calcio fa parte della cultura del nostro Paese, e quindi, perché non alzare il livello della narrazione e del dibattito televisivo e giornalistico, senza dover puntare solo ed esclusivamente sulla messa in onda dei 90 minuti della partita? Il grado di concentrazione dei millennials si limita agli highlights, visti e rivisti sul telefonino e neppure più direttamente dallo schermo televisivo.
Ma questi ragazzi magari possiamo “recuperarli” con gli accessi a stadi più confortevoli, più economici e sicuri. Incentivare la passione, oltre che con la pratica che evita problematiche fisiche e sociali, con dei corsi di “Storia del calcio” in presenza nelle scuole (svolti da giornalisti e addetti ai lavori), con incontri settimanali ravvicinati, e non più del terzo tipo, con i campioni e i professionisti dell’industria del pallone. L’industria del calcio può diventare anche la fabbrica culturale del domani, ma finché ci limitiamo a subire la “diretta a singhiozzo” di Dazn e farci annientare dallo tsunami dello streaming, siamo condannati a partite, in cui comunque vada, partiamo già sconfitti.