Giotto, «Polittico Baroncelli»
Saranno le mostre dedicate a Dante (quelle più ambiziose, naturalmente, tra le tante programmate lungo la penisola in occasione del settimo centenario della morte del sommo poeta) che terranno banco in quel che rimane di questo 2021 quando, dopo il lungo lockdown pandemico, funzionerà al massimo dei giri la macchina espositiva. Che intanto si è messa in moto alla grande con la mostra Dante. La visione dell’arte (catalogo Silvana), curata da Antonio Paolucci e Fernando Mazzocca, che affronta un arco temporale che va, con incursioni in epoca romana, dal Medioevo al Novecento. È allestita a Forlì ai Musei San Domenico, frutto della collaborazione tra l’istituzione forlivese e gli Uffizi da cui provengono una cinquantina delle oltre trecento opere distribuite nel monumentale manufatto risalente al XIII secolo e adibito a luogo espositivo dal 2005 dopo un impegnativo intervento di recupero e restauro. In Italia il culto di Dante, autore fondativo che coincide con l’identità della nazione, è ripreso con vigore nella seconda metà dell’800 per ritrovare orgogliosamente in lui non soltanto il profeta dell’Unità, ma il fondatore di una lingua che per secoli ha rappresentato il cemento ideale, la ragione stessa di un’unione tanto difficile quanto imprescindibile e la cui attualità si dimostra ai nostri giorni di fronte alla perdita del rispetto della forza e della pregnanza della parola.
L’impianto espositivo è incentrato, come è accaduto sovente per le esposizioni precedenti ai Musei San Domenico, non esclusivamente sulla storia delle forme propriamente dette, ma su un tema vasto posto al crocevia del mondo delle arti e delle idee. Ciò che interessa è la storia delle forme dell’arte non fine a se stessa, ma come testimonianza dell’identità di un’epoca, sulla scorta delle lezioni di figure quali Ernst Gombrich o Erwin Panofsky e quindi guardando a una tra- dizione della storia dell’arte che è più una riflessione sulle mentalità e sul costume piuttosto che una storia del gusto. E nel furioso corpo a corpo con un tempo che è il suo, ma è diventato quello di tutti, Dante è scrittore potente, capace di concentrare in pochi versi vicende diventate archetipi, chiavi universali per raccontare la storia umana. Valga per tutte la sua interpretazione di Ulisse, lo 'scopritore' dell’ignoto per amor di conoscenza, con cui ha inventato l’uomo moderno occidentale descritto nel libro della vita che è la Divina commedia.
Dove il movimento a cerchi concentrici procede simultaneamente verso il centro e verso l’esterno, dove tutto è interconnesso e in ogni momento ci si ritrova in un autentico crocevia di senso che presuppone una reciprocità continua tra la parte e il tutto, tra singolo punto e concezione generale del poema, fra la vicenda individuale e i significati generali, tra l’esperienza che si fa passo dopo passo nella complessità e la magnificenza in quello che è il viaggio del poeta, ma anche il nostro viaggio. Nella Commedia, opera progressiva, intensamente relazionale, in cui strada facendo ogni cosa trova il suo posto e tutto finisce per tornare, Dante è pienamente poeta della ragione e della conoscenza, ma il poema è pur sempre una visione.
Sì, perché nelle tre cantiche dantesche – puntualizza Gianfranco Brunelli, direttore delle grandi mostre del San Domenico – «non si ragiona soltanto, ma si vede, si ode, si sente, secondo un’intimità dell’anima per la quale l’interiorità e l’esteriorità si fondono». A esse si sono ispirati nei secoli gli artisti di tutto il mondo e all’universo dantesco la mostra di Forlì, dove Dante nell’autunno del 1302, lasciata Arezzo, trovò rifugio presso gli Ordelaffi, signori ghibellini della città, dedica una sontuosa apertura. Lo si deve a capolavori che, partendo da un 'geometrico' Crocifisso di un anonimo scultore di area centro-settentrionale dell’ultimo quarto del XII secolo che si fronteggia con il magnifico Cristo risorto di Guido Reni proveniente da Malta, disegnano un percorso che giunge allo splendore dell’ultimo Giotto del Polittico Baroncelli passando per Guido da Siena, Cimabue, Taddeo Gaddi, l’Orcagna, Beato Angelico, Signorelli, Beccafumi, chiamati a testimoniare l’influenza decisiva della potenza visionaria dantesca sui grandi cicli relativi al tema del Giudizio Universale.
La mostra, che oltre a quelle provenienti dagli Uffizi, presenta opere prestigiose prestate dai maggiori musei del mondo, dall’Ermitage di San Pietroburgo al Walker Art Gallery di Liverpool, dalla National Gallery di Sofia al Museum of Art di Toledo, alla Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, si sofferma poi sulle iniziali fortune critiche di Dante. Sono quelle promosse dalle prime copie istoriate della Commedia, qui documentate con preziosi codici miniati del XIV e XV secolo, seguite dalle edizioni a stampa riccamente illustrate. L’iconografia dantesca è affrontata partendo dal celebre affresco staccato e trasferito su tela di Andrea del Castagno, dall’opera di Cristofano dell’Altissimo, dagli echi della scuola vasariana.
Il rapporto di Dante con l’Antico è affrontato a partire dalla sua guida Virgilio e quindi dagli autori greci e latini, da Omero a Ovidio, da Platone a Seneca, e attraverso apposite sezioni, dopo la breve stagione rinascimentale, si prosegue con la fase della riscoperta neoclassica e preromantica di Dante per merito dei grandi pittori e illustratori che, come Flaxman, Blake, Koch, hanno affrontato la tematica del sublime. Con il romanticismo la figura di Dante assume una dimensione che va oltre i confini nazionali, grazie a Coleridge, per esempio, che in Inghilterra si fa promotore di una pregevole versione della Commedia, a Melville, ai Preraffaelliti, mentre è con i Nazareni tedeschi o in Francia con i grandi romantici, il classicista Ingres o gli accademici come Bouguereau, che esplode l’interesse verso la Commedia. Così come avviene con i protagonisti di primo piano del romanticismo in Italia, come Bezzuoli e Morelli, per giungere a quegli artisti del primo Novecento, traghettatori della pittura nella modernità, che sanno rappresentare e rendere attuali le passioni che agitano il poema proiettando l’opera di Dante nell’immaginario collettivo. La mostra, dalla raffigurazione iniziale del Giudizio Universale, si conclude con la visione maestosa del Paradiso dipinta da Tintoretto e da opere ispirate, come l’etera e delicata Trinità di Lorenzo Lotto, dal XXXIII canto del Paradiso che chiude la Commedia.