Questa è una storia diversa dalle solite. Anche qui c’è un artista, il cantautore Ron, che ripensa i modi della propria arte a fronte di una crisi. Ed anche Ron, come taluni suoi colleghi, possiede talenti ed umiltà bastanti per fargli provare a spingersi oltre i limiti del pop. Già negli anni Settanta del resto Ron fu attore, pure con registi come Montaldo o Magni, ed ha appena girato l’Italia come interprete di prosa in un tour in cui andava ben oltre la 'normalità' delle canzoni. Ma la crisi da cui nasce l’odierno desiderio di Ron di staccarsi dalle finzioni del pop non è la crisi della discografia. La scelta di Ron di cambiare motivi e prospettive del suo pop d’autore gli è infatti arrivata addosso dalla vita, quando l’amico fraterno Mario Melazzini gli disse di avere la Sla, sclerosi laterale amiotrofica, malattia degenerativa da cui non si guarisce. Allora, era il 2005, Ron si fermò. E quando ripartì era un altro. «Non so se augurare ad altri quanto successe a me, è sofferenza. Però senza quella tragedia non saprei la fortuna di vivere né come fare il mio mestiere con un senso. Vedo troppa gente che ha tutto ed è infelice. Ecco, un’esperienza di vita vissuta come quella che ho sperimentato io può far capire molte cose».
Ron, iniziamo dal principio. Da quella telefonata di Melazzini, oggi Presidente dell’Aisla, Associazione che raccoglie fondi per la ricerca contro la Sla. «Quando mi disse cos’aveva per me fu immediato scegliere di fermarmi. I miei genitori mi hanno insegnato l’importanza del 'prendersi carico' di chi ha bisogno, non ho pensato al successo che potevo perdere, ai progetti in essere. Mi sono messo a disposizione di Mario in toto».
Dopo un po’ però iniziò a lavorare a un disco di suoi capolavori in duetto, edito solo per aiutare l’Aisla. «Su idea di Mario. E convinto davvero soltanto dall’aver toccato con mano la tragedia della malattia e le difficoltà delle famiglie. Solo lì mi dissi che magari potevo aiutare davvero anche col mio lavoro».
Così ha chiamato, lei, Baglioni, Zero, Carboni, Dalla, Jovanotti, Elisa, Consoli… «Ed accettarono quasi tutti. Il problema furono i discografici. Dissero che i duetti non funzionavano… Lì capii in anticipo il declino di un’industria senza più cuore. Ringrazierò sempre Ferdinando Salzano, responsabile di un’agenzia di musica dal vivo. Produsse lui il cd per le edicole».
Ma a lei non bastò. E lo portò a Sanremo. «Non aveva senso non trovarlo nei negozi: né per lo scopo né dal punto di vista artistico. E l’industria, col 'contentino' di Ron a Sanremo, lo distribuì. Inoltre Panariello all’Ariston mi consentì di parlare dell’Aisla a milioni di persone. Alla fine abbiamo raccolto 150mila euro, e fatto conoscere la Sla».
E lei proseguì, sposando anche altre cause. Perché? «Non tutte le battaglie di solidarietà sono facili, ad esempio non riuscii a trasformare quel disco di duetti in show benefico: a volte c’è diffidenza. Però, come ho visto denunciando quanto sia grave il problema mondiale della carenza d’acqua, se anche su cento persone ti rispondono solo in venti, vale. La società inizia pian piano a capire i problemi e, nel caso delle malattie, i malati si sentono meno soli. Ogni anno organizzo un concerto contro la Sla: quest’anno l’ho fatto a Vicenza, ed ancora sono venuti colleghi. Minghi, Ricciarelli, Jury…».
Capiscono proprio sempre? Neppure quando lei a teatro ha portato in scena Melazzini, l’hanno criticata? «Mai. Lui parlava di malattie incurabili, di diritto alla vita: temi forti trattati con serietà, e nessuno in nessun teatro ha avuto reazioni negative ».
Dopo quello stop lei è però tornato anche alla sua musica. Concependola in modo quanto diverso da prima? «Totalmente. Il ritorno coincise con la crisi dell’industria, ma l’esperienza della malattia di Mario mi ha insegnato a guardare cose diverse dai numeri. Ho capito che sono più credibile di quanto pensi, stanti le reazioni alle mie iniziative di colleghi e pubblico, e quindi non ha senso accettare compromessi. E che questo mestiere ha senso solo se fai diventare la tua musica adulta quanto la vita ha obbligato te a diventarlo. Vede, io avrò anche aiutato Mario, però Mario ha aiutato me. Non ultimo, spronandomi a ricominciare a scrivere sapendo che è anche un dovere, il poter parlare agli altri pure di tutto quello che la vita ti ha costretto a capire».