Per i romani aveva sei facce, per gli indiani una forma oblunga ma la sua versione più antica è l’astragalo, un piccolo osso bovino con quattro lati diversi: il dado è il più antico e diffuso strumento per il gioco. Si è sempre giocato e scommesso sulla sorte, anche solo per passatempo o per affidare al caso ciò che non sappiamo o vogliamo decidere: dalla meta di una vacanza all’Agenzia del farmaco… Ma c’è differenza tra la tombola in famiglia e la sala bingo. Il volto della Fortuna, che come gli antichi ancora dipingiamo bendata, è ben poco affascinante quando assume la forma di una piaga sociale come l’azzardo. «L’azzardo è l’intreccio di sorte e denaro, con particolare riferimento all’età moderna in cui quella combinazione divenne concettualmente chiara e praticamente diffusa».
A parlare è Gherardo Ortalli, massimo esperto di storia del gioco e responsabile scientifico del settore a essa dedicato dalla Fondazione Benetton Studi e Ricerche, la quale festeggia i trent’anni di lavoro nella sua sede a Treviso con la mostra Lotterie, lotto e slot machines. L’azzardo del sorteggio: storia dei giochi di fortuna (fino al 14 gennaio). La storia dell’azzardo è un punto di vista ideale per capire il fenomeno contemporaneo. Precedenti nell’antichità esistono: già il diritto romano prevedeva norme durissime contro le scommesse di denaro - questo non impediva all’imperatore Augusto di perdere 20mila sesterzi in un giorno. Ma l’azzardo di oggi non è figlio di quello antico. La crisi economica e sociale dell’alto medioevo mozzò le gambe all’azzardo perché seccò la sua fonte principale: il denaro, soppiantato dal baratto.
È con la ripresa del Mille e la rinascita dell’economia monetaria e poi a partire dal Duecento con lo sviluppo degli strumenti tecnici e teorici della finanza moderna, che l’azzardo non solo rifà capolino ma si impone. La risposta al fenomeno è duplice e si manterrà costante: «Dal Duecento gli Stati europei - racconta Ortalli - a fianco delle proibizioni radicali scoprono i vantaggi finanziari che se ne possono ricavare. Con moda-lità di vita, strutture sociali e gestioni politiche sempre più articolate e costose, quanto rimane proibito comincia a essere concesso entro precisi limiti e a determinate condizioni. In sostanza, è dal Duecento che le autorità iniziano lentamente a gestire in proprio o a concedere in appalto il gioco di denaro, facendone una fonte di entrate e favorendo la nascita di quello che potremo poi definire lo “Stato biscazziere”, gestore diretto o indiretto del gioco di denaro».
L’immagine che apre la mostra è un dipinto del XVIII secolo di Giovanni Grevembroch che riprende la quattrocentesca Cronaca Zancaruola, dove si registra la presenza di “ribaldi e barattieri”, ossia giocatori, tra le due colonne di piazza San Marco. È una sorta di limbo, un’area dove il proibito, una volta delimitato territorialmente, diventa lecito: poteva accadere solo alla luce del sole, perché si mantenesse una parvenza di controllo sociale. Ma presto il potere pubblico comincia a incorporare ciò che prima stava ai margini. «L’appalto della baratteria duecentesca in fondo significa l’accettazione della logica che poi durerà per secoli fino alle lotterie, ai lotti, ai ridotti, ai mo- derni casinò, fino a oggi, con le puntate informatiche o le lotterie istantanee, i grattaevinci o le slot machine». L’azzardo entra nella categoria del turpe lucrum insieme alla prostituzione e all’usura: «Un guadagno moralmente riprovevole ma basato su un atto comunque volontario, con valore contrattuale».
Restava però solida l’idea del pericolo. Ciò che noi oggi chiamiamo ludopatia o azzardopatia è già descritto nei suoi sintomi in trattati moralisti del Cinquecento. La ricchissima messe di materiali e documenti in mostra segue, in Italia e in Europa, proprio questo doppio binario, tra tensione a tenere saldo il tessuto sociale contro le lacerazioni causate dalla pratica dell’azzardo e il pragmatismo per il quale pecunia non olet. Ecco allora le immagini dei “falò delle vanità” come quello organizzato da Giovanni da Capestrano a Norimberga nel 1452 in cui finirono bruciati 3.612 tavolieri e 20mila tra dadi e carte da gioco. O la rara cedola fiorentina del 1556 in cui un allibratore attesta la scommessa di un uoanzitutto mo sul sesso del nascituro. Come oggi, si scommetteva su tutto: il prezzo di un prodotto, la morte di un principe, l’elezione di un papa, l’esito di una battaglia. Ecco poi le decine di giochi popo-lari, a partire da quelli di carte come la bassetta, e i relativi bandi di condanna. I sistemi, le prime Smorfie e i trattati morali. L’azzardo è fenomeno che investe tutte le fasce sociali.
Tra Sei e soprattutto Settecento i caffè e soprattutto i teatri d’opera sono il regno del gioco, al quale sono strutturalmente dedicati i ridotti. Tra i giochi più diffusi il Biribissi e il Faraone. Le lotterie, basate sull’estrazione, esplodono nel Cinquecento e sono presto sfruttate dai governi, con la creazione di lotterie pubbliche e nazionali. Il fine “positivo” diventa una via per giustificare l’aggiramento di divieti e scrupoli. Se oggi il Lotto finanzia i beni culturali, gli introiti dello stesso gioco nella Roma pontificia del Settecento sostennero la costruzione della Fontana di Trevi e del Palazzo della Consulta, come anche la prima bonifica della paludi pontine. L’Ottocento, secolo attraversato da forti istanze sociali, si rivela meno indulgente. L’azzardo era ad esempio vietato nelle Società operaie di mutuo soccorso e il lotto fu definito «un’epidemia» tra le fasce più deboli, per sovrappiù gravata «dalla più immorale fra le tante imposte dello Stato».
Nulla di nuovo, dunque? Fino a un certo punto. Nella contemporaneità è cambiata la pervasività, l’accessibilità dell’azzardo e soprattutto la velocità della sua trasformazione e degli effetti. «Per sostenere il mercato - conclude Ortalli - nuovi giochi e nuove slot si susseguono mensilmente: si pensi che la prima slot machine, inventata in America oltre un secolo fa, durò molti anni prima di essere sostituita. Ma la velocità ha soprattutto investito chi pratica l’azzardo. Se fino a non molto tempo fa per rovinarsi completamente occorrevano anni, oggi bastano pochi mesi». E vertiginosa è la crescita del fatturato dell’azzardo: 61,4 miliardi di euro nel 2010, nel 2016, secondo l’Agenzia della Dogane e dei Monopoli, in Italia sono stati giocati quasi 96 miliardi, con entrate erariali per 10,5 miliardi. Un fiume di denaro che dal 1998 è cresciuto del 750%.