Parlando del suo capolavoro Herman Melville lo definiva un romanzo sul male. Il male della natura e quello del genere umano. Ma non è di questo che voleva parlare Ron Howard nel suo film,
Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick (in uscita giovedì) tratto dall’omonimo libro di Nathaniel Philbrick sulla storia vera che ha ispirato quella della balena bianca. La storia cioè dell’equipaggio della baleniera Essex attaccata da un gigantesco capodoglio, decimato e costretto a sopravvivere in mezzo al mare per circa tre mesi. «Il mio film – ci ha raccontato il regista, ex Ricky Cunningham della serie tv
Happy Days e premio Oscar per
A Beautiful Mind – è focalizzato sulle ambizioni personali di due personaggi che si fronteggiano, il capitano della baleniera e il suo primo ufficiale, su una trasformazione e una progressiva presa di coscienza fino alla scoperta della verità su se stessi dopo un duro confronto con la natura, che ha preso le forme di un grandioso animale. Leggendo i diari degli uomini sopravvissuti all’attacco scoprirete quanto temessero che Moby Dick fosse la mano di Dio, la punizione divina per la loro sete di denaro. Per me è come King Kong, segno di una natura risvegliata dall’uomo. Sono affascinato da quanta modernità sia contenuta in questa storia classica». Ambientato negli anni Venti del-l’Ottocento, quando le città americane ed europee venivano illuminate di notte grazie all’olio di balena raccolto a Nantucket, nel New England, il film offre non solo una riflessione sull’arroganza e l’avidità dell’uomo che si considera il re del mondo, ma anche sui paradossi dell’evoluzione umana e del progresso. «L’olio di balena diede un grosso impulso all’economia americana ed europea. Una crescita che però implicava una terribile mattanza di capodogli. Con l’arrivo del petrolio gli armatori di baleniere anziché investire su questa nuova forte di energia, si sono buttati nella costruzione di ferrovie. E oggi che abbiamo bisogno di sempre più energia per alimentare la tecnologia che ci circonda, siamo ancora qui a chiederci qual è il prezzo da pagare per poter avere tutto ciò che vogliamo». E a proposito della caccia alle balene aggiunge: «Era importante per me mostrarne la scioccante brutalità, perché il film non avesse il tono di un’avventura marinaresca tra ragazzoni. E va bene se al cinema il pubblico fa il tifo per Moby Dick, che come tutte le altre balene, è interamente creata al computer. Non avrei potuto regalare agli spettatori niente di così coinvolgente, altrimenti. Per trasformarla in un personaggio ci siamo avvalsi della collaborazione di prestigiosi studiosi, così che non sembrasse una balena hollywoodiana. Sono felice che la tecnologia sia in grado di sostenere le mie ambizioni di regista, ma al primo posto restano sempre la credibilità della storia e dei personaggi».