In nome di Barack Hussein Obama il cinema del resto del mondo si incontra a Milano per la diciannovesima edizione del Festival del cinema Africano, d’Asia e America Latina (dal 23 al 29 marzo). Un presidente degli Stati Uniti nato da papà keniano e cresciuto tra l’Indonesia e le Hawaii non poteva non marcare con la sua elezione anche la kermesse milanese che ogni anno coinvolge cineasti da quei continenti dove fare un film costa moltissima fatica. E così tra le circa ottanta opere previste da oltre cinquanta nazioni, mai come in questa annata la parola d’ordine sembra essere cosmopolitismo. In altri termini, coproduzioni internazionali, joint venture tra diversi paesi e punti di contatto intercontinentali. Un esempio è l’anteprima italiana di London River, Orso d’argento a Berlino per la migliore interpretazione maschile di Sotiguy Kouyaté. Il film racconta dell’incontro tra un uomo africano musulmano e una donna inglese cristiana sullo sfondo degli attentati terroristici avvenuti a Londra nel luglio 2005. La regia è di Rachid Bouchareb, parigino d’origini algerine. Africa-Europa, andata e ritorno: il Vecchio Continente degli immigrati di seconda o terza generazione, tra tensioni, integrazioni mancate e rigurgiti xenofobi, fa da scenario a molte pellicole. Naturalmente non poteva che essere la Francia, co-produttrice della maggior parte dei lavori, il paese a raccontare il sentimento dell’emigrazione di chi è costretto a scegliere tra le radici lontane e la nuova identità. Un si beau voyage, Khamsa, L’absence, Sexe, gombo et beurre salé raccontano tutti del ritorno, fisico o metaforico, alle proprie origini africane. «E non è un caso – spiegano le direttrici artistiche Alessandra Speciale e Annamaria Gallone – che il Maghreb sia la zona dell’Africa presente con il maggior numero di film. Grazie anche alle relazioni economiche e sociali con gli altri paesi del Mediterraneo». Cosa che non si può dire per il resto del continente. Ma si sa che la crisi globale fa più male a chi non gode di ottima salute. E anche il festival ha dovuto farvi i conti: «In Africa già si produceva poco, ora, con la crisi, è ancora più difficile. L’unica nota positiva è che l’Unione Europea riprenderà a finanziare i paesi dell’ 'ACP', Africa, Caraibi, Pacifico. Una boccata d’ossigeno dopo il tracollo che stanno subendo le loro cinematografie». aSembra che in Europa, in tv e al cinema, qualcosa si stia muovendo, c’è più interesse, ma rimane un peccato che nonostante i successi nei festival più importanti, i film africani vengano totalmente snobbati in Italia, anche se rappresentano una vera e propria alternativa alle solite cose nelle sale». Uno sguardo diverso, dal punto di vista del-l’altro, ma anche storie diverse, che vivono molto più dell’attualità che della fantasia. Lo sfruttamento dei minori in Indonesia ( Jermal); una vita qualsiasi in un giornata qualsiasi in Palestina ( Eid Milad Laila e Of flesh and blood); il Sudafrica del dopo apartheid che deve fare i conti con le fragilità della nuova democrazia. Tra le sezioni speciali da non perdere la retrospettiva del regista kazako Darezhan Omirbayev e una panoramica di approfondimento sul canale all news arabo Al Jazeera. Un altro schermo per entrare in un altro mondo e in un’altra cultura che mai come oggi è così lontana e così vicina.