Clandestini, ronde, sicurezza, immigrazione. Con
Verso l’Eden si parte con l’idea di parlare di un film, ma alla fine si affronta la realtà. Non è una novità se il film porta il marchio di Costantin Costa-Gavras, il regista greco, naturalizzato francese, autore di opere come
Z - L’orgia del potere (sulla dittatura in Grecia) e
L’Amerikano (sulla complicità degli Stati Uniti ai caudillos del Sudamerica). Mentre spiazza sentir parlare di queste cose da Riccardo Scamarcio, il bello del cinema italiano, protagonista assoluto dell’ultimo lavoro di Costa-Gavras, che affrontando il fenomeno dell’immigrazione denuncia le storture delle politiche della sicurezza in Occidente, realizzate sull’onda emotiva della paura del diverso. In Verso l’Eden Scamarcio è Elias, un misterioso e insieme comunissimo immigrato clandestino che per sfuggire alla mancanza di futuro attraversa il Mediterraneo con il sogno di raggiungere il paradiso, in Europa. L’Eden che ha i contorni e le fattezze di Parigi e che Elias conoscerà solo al costo di soprusi e di tutta la miseria di chi si aggrappa a una carretta del mare. Cose di ordinaria quotidianità, che Scamarcio stigmatizza con sdegno: «Io provo imbarazzo per quello che sta succedendo proprio nel mio paese: c’è una caccia al diverso che sta ingenerando un movimento molto pericoloso». Parole di denuncia che non ti aspetti da chi pochi film fa stava a chiudere i lucchetti d’amore sul Ponte Milvio a Roma, nel delirio delle ragazzine e per la felicità di Federico Moccia. E invece Step è cresciuto, il ribelle tutto giacca di pelle e cuori infranti è sceso giù dalla sua moto per fare i conti con le cose serie di questo mondo. Il nuovo Scamarcio in versione impegnata dimostra di essere stato a lezione da Costa-Gavras e padroneggia con sicurezza il vocabolario dell’attualità: «È molto inquietante l’abuso che si fa delle notizie sull’immigrazione. A Lampedusa c’è ogni giorno uno sbarco. Ma ce ne accorgiamo solo qualche volta. Quando i telegiornali hanno un buco che non sanno come riempire». Costa-Gavras racconta di averlo scelto anche per quello sguardo e «perché nella sua bellezza volevo rompere il pregiudizio razzista che vuole il clandestino brutto e diverso da noi. L’interpretazione di Riccardo è perfetta perché deve presentare il personaggio senza parlare quasi mai.Come la gestualità di Chaplin, i suoi occhi raccontano la fragilità di un clandestino che deve sopportare di tutto». Elias l’emigrante è un moderno Ulisse, «solo che invece di tornare a casa, cerca di costruirsi una sua casa». Il ruolo di Scamarcio che occupa tutta la scena, segna il passaggio a un cinema più maturo, e dopo alcune prove di rodaggio su temi politici e sociali più italiani (
Mio fratello è figlio unico) lo vedremo ne
Il grande sogno (di Michele Placido sul Sessantotto) e in
Prima linea (dove interpreta il leader terrorista Sergio Segio). E a chi lo etichetta come divo, bello e bravo, ringrazia e restituisce il bello: «Anzi, credo che con Elias io sia stato il massimo dell’antidivo. Il mio aspetto è servito per un altro messaggio implicito al film. Durante la sua odissea Elias, per la sua bellezza, diventa un freddo oggetto del desiderio in mano a persone insensibili. Far vedere questo è una critica spietata ai limiti e alla mancanza di comunicazione dell’Occidente».