La cerimonia di riconsegna a Firenze nel luglio 1945 delle opere rubate degli Uffizi - Gabinetto fotografico degli Uffizi
La famosa Maschera di fauno in marmo realizzata da Michelangelo appena quindicenne non è mai stata ritrovata. Finì tra i capolavori razziati dai nazisti alla fine della Seconda guerra mondiale e da allora se ne sono perse completamente le tracce. Il leggendario 007 dell’arte Rodolfo Siviero le diede la caccia per tutta la vita, finché non fu costretto ad arrendersi. Ma non fosse stato per l’impegno incessante del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa e di monsignor Giovanni Battista Montini – futuro papa Paolo VI – molti altri capolavori dell’arte toscana sarebbero andati perduti. È quanto si evince dalla corrispondenza che è stata rinvenuta alcuni anni fa nell’Archivio storico diocesano fiorentino. Nella fase conclusiva del conflitto la Santa Sede attivò un vero e proprio canale diplomatico parallelo a quello degli Alleati che consentì il recupero di centinaia di opere dal valore inestimabile.
A ricostruire quella storica operazione di salvataggio attraverso fotografie, documenti d’archivio inediti, filmati d’epoca e prestiti dai musei fiorentini è la mostra “Michelangelo rapito. Capolavori in guerra dagli Uffizi al Casentino”, curata da Alessia Cecconi e allestita fino al 28 gennaio al castello medievale di Poppi (Arezzo). Nelle stesse stanze dell’antico castello aretino, tra il 1940 e il 1944, vennero messe sotto protezione centinaia di sculture, oggetti e dipinti provenienti dalla Galleria degli Uffizi come la Sacra Famiglia di Michelangelo, la Madonna del Magnificat e la Nascita di Venere di Botticelli, la Madonna del Cardellino di Raffaello e l’Adorazione dei Magi di Leonardo.
Gli Uffizi durante la guerra - Gabinetto fotografico degli Uffizi
Ma alla fine di agosto del 1944, appena una settimana prima della Liberazione, decine di casse piene di opere d’arte vennero trafugate da un gruppo di soldati tedeschi della 305a Infanterie Division in ritirata. Il primo ad attivarsi per il loro ritrovamento fu l’arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa il quale, sollecitato dal soprintendente Giovanni Poggi, contattò subito la Segreteria di Stato del Vaticano nella persona di monsignor Montini, per informarlo sull’accaduto e chiedergli di dare «al fatto ampia pubblicità, magari per radio, anche nella speranza che il Governo alleato del nord si induca a far le pratiche occorrenti per la sorveglianza e il recupero delle casse portate dai tedeschi». La risposta del Vaticano arrivò nel novembre del 1944, con l’indicazione del luogo in cui si trovavano le opere trafugate: il castello di Neumelans a Campo Tures, in Alto Adige. Dopo mesi di trattative serrate, la mattina del 22 luglio 1945 una colonna di sei autocarri militari alleati entrò in piazza della Signoria, nel cuore di Firenze, per la solenne cerimonia di restituzione delle opere. Il ritorno a casa di quello straordinario patrimonio di bellezza fu una grande vittoria della diplomazia che coinvolse la Chiesa, le soprintendenze e i servizi segreti alleati.
La mostra in corso al castello di Poppi ripercorre quei mesi tormentati potendo contare su una serie di prestiti della Galleria degli Uffizi, come il Ritratto di Giovanni II Bentivoglio di Lorenzo Costa – anch’esso recuperato nel 1945 –, la copia in gesso del Fauno perduto di Michelangelo, oltre a documenti originali e scatti fotografici dell’archivio degli Uffizi. Ad arricchire il percorso della mostra c’è poi una sezione immersiva allestita al piano superiore del castello, nel salone della biblioteca Rilliana. Qui i visitatori possono apprezzare particolari inediti di capolavori proiettati in alta definizione sulle pareti o avere la sensazione di “entrare” nelle casse recuperate nel castello durante la guerra grazie a una serie di installazioni a specchi.