mercoledì 21 ottobre 2015
​Nel 1966 nasceva il "Circo bianco" dall'intuizione di quattro amici sulle Ande per il Mondiale che decisero di imitare la Formula 1.
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SI PARTE SABATO DA SÖLDEN  La Coppa del Mondo 2015-2016 prenderà il via sabato a Sölden (Austria) con lo slalom gigante femminile con tante vecchie conoscenze in meno. Perché è un anno bisestile. Non è una strana forma di superstizione, ma il fatto che gli anni bisestili sono gli unici senza né Olimpiadi né Mondiali e, quindi, spesso coincidono con il ritiro degli atleti. Al cancelletto di partenza del Circo rosa non vedremo più atlete di punta come Marion Rolland, Dominique Gisin, Nicole Hosp, Andrea Fischbacher e Kathrin Zettel; anche Tina Maze non ci sarà (sebbene parli di anno sabbatico e non di ritiro). Tra gli uomini mancheranno, oltre al nostro gigantista Davide Simoncelli, anche Didier Défago, Mario Matt, Silvan Zurbriggen e Benjamin Raich. Anche per questo i favorito d’obbligo per le Coppe del Mondo generali restano i campioni uscenti, Marcel Hirscher e Anna Fenninger. La Coppa del Mondo di sci alpino nacque sulle Ande. Era il 1966, erano i Mondiali di Portillo - quella cilena rimase l’unica rassegna iridata ospitata nell’emisfero australe - e i proverbiali quattro amici al bar calibrarono la formula che sarebbe divenuta non solo un grande successo organizzativo, ma anche un modello al quale si sarebbero ispirate tante altre discipline: della neve prima, e dell’intero mondo sportivo poi. Quei quattro che s’inventarono il “Circo bianco” – sabato a Sölden prenderà il via la cinquantesima stagione – erano il giornalista dell’“Équipe” Serge Lang, l’allenatore della squadra francese, Honoré Bonnet, e i suoi omologhi statunitense, Bob Beattie, e austriaco, Sepp Sulzberger.  L’idea era semplice: mettere assieme alcune classiche dello sci, che si svolgevano annualmente ognuna per conto proprio, in un circuito dove - come nella Formula 1 fin dal 1950 - s’incoronassero il miglior sciatore e la miglior sciatrice della stagione attraverso un sistema di punteggi. Previste anche classifiche e trofei di specialità per la discesa libera, lo slalom gigante e lo slalom speciale. Una sintesi di tradizione e di innovazione, quella elaborata da Lang e soci in nelle gelide e lunghissime serate dell’agosto andino, dallo schema facile e al tempo stesso abbastanza flessibile da saper registrare, nel corso dei decenni, i tanti mutamenti che hanno cambiato ma (quasi) mai snaturato il volto dello sci alpino. In quella baita di Portillo, a tremila metri d’altitudine, riempirono taccuini con località, date, punteggi, finché non riuscirono a distillare quella proposta che la Federazione internazionale guidata da Marc Hodler fece immediatamente sua. Fino ad allora lo sci poteva contare soltanto su un appuntamento internazionale ogni due anni, a turno Olimpiadi e Mondiali, e concentrato in pochi giorni di gare; le classiche invece si muovevano ognuna per conto proprio. Ora anche la disciplina regina delle nevi avrebbe potuto contare su un palcoscenico regolare, lungo tutta la stagione.  Mentre gli sciatori ingannavano la noia dell’isolamento andino combattendo battaglie a colpi di palle di neve e perfino di torte in faccia, prese forma la prima stagione della Coppa del Mondo, che avrebbe debuttato poco dopo, al culmine dell’inverno europeo, in una località il cui nome evocava accenti sinistri: Berchtesgaden. Ma in quel remoto villaggio bavarese il “Nido dell’aquila” di Hitler era già stato trasformato da tempo in un innocuo rifugio con annesso ristorante. A Berchtesgaden il 5 gennaio 1967 fu l’austriaco Heini Messner il vincitore della prima gara della storia della Coppa del Mondo; le donne partirono due giorni dopo a Oberstaufen, sempre in Germania. Il circuito femminile non poteva contare su classiche consolidate come quelle maschili, ma toccò comunque località di grido dell’intero arco alpino come Grindelwald, Schruns e Saint-Gervais-les Bains; i maschi, invece, inanellarono una serie di gare una più affascinante dell’altra. Dopo Berchtesgaden toccò alle svizzere Adelboden e Wengen, con lo slalom gigante della Chuenisbärgli, la discesa libera della Lauberhorn e lo slalom speciale della Männlichen/ Jungfrau; poi fu il turno del tempio della discesa libera, la Streif di Kitzbühel in Austria, e del correlato slalom speciale della Ganslern. La Francia sfoggiò Megève, l’Italia Madonna di Campiglio (con lo slalom speciale del Canalone Miramonti) e Sestriere (con la discesa libera della Banchetta). A chiudere la stagione, in marzo, sia gli uomini sia le donne affrontarono una lunga trasferta americana che portò la carovana dagli Appalachi alle Montagne Rocciose.  Accanto all’intelligenza della formula garantì il successo della Coppa del Mondo anche la caratura dei vincitori: se tra le donne s’impose la canadese Nancy Greene, simpatica e spigliata con i capelli alla maschietta, tra gli uomini a vincere fu un campione con la faccia da attore: Jean-Claude Killy. Il parigino prestato alle Alpi dopo l’agonismo passò davvero al cinema, senza tuttavia replicare i successi sulle nevi: un destino comune anche a diversi altri grandi campioni del Circo bianco: non esclusi i nostri Gustav Thöni e Alberto Tomba le cui prove attoriali (in Un centesimo di secondo di Tessari l’altoatesino, in Alex l’ariete di Damiani l’emiliano) non figurano certo tra le massime espressioni della settima arte. Ma il fatto stesso che furono chiamati ad apparire davanti a una cinepresa testimonia proprio l’efficacia del “traino” della Coppa del Mondo, d’altra parte definita dallo stesso Killy «più importante dei Mondiali e delle Olimpiadi ». E non se lo rimangiò nemmeno l’anno dopo, quando ai Giochi di casa a Grenoble realizzò l’impresa che prima di lui era riuscita soltanto a Toni Sailer a Cortina 1956 e dopo di lui a nessuno più: vincere la medaglia d’oro in tutte le gare.  Sabato sul ghiacciaio di Sölden si riverbererà per la cinquantesima volta lo scintillio della coppa di cristallo, sogno e ossessione di ormai cinque generazioni di sciatori. Sarà, questa, la più lunga stagione della storia, con quasi novanta gare in programma. Nel 19661967 erano state appena trentaquattro: ma bastarono per scrivere una nuova pagina della storia dello sport. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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