Vasily Polenov, “Araldo di gioia a coloro che piangono”, 1900 circa - WikiArt
Studioso di Kierkegaard, addottoratosi sotto la guida di Christoph Theobald, Dominique Collin appartiene alla nuova generazione di teologi francofoni che stanno 'ridicendo' il cristianesimo usando categorie mentali e mappe concettuali capaci di interpretare il post- secolarismo.
Il nuovo libro di questo domenicano francese di stanza in Belgio, docente di teologia al Centre Sèvres dei gesuiti di Parigi, Il Vangelo inaudito (pagine 188, euro 20,00), segue il suo altro scritto, uscito sempre per Queriniana nel 2020, Il cristianesimo non esiste ancora, e ne riprende contenuto e tesi: ovvero, l’idea che anche nel nostro mondo scristianizzato l’annuncio evangelico può tornare ad essere percepito come 'inaudito' se lo si presenta come la comunicazione di una vita e non come l’imposizione di una dottrina.
«Ci è stato insegnato un Dio come essere, invece Dio è vita. I temi essenziali dell’annuncio sono l’amore e la libertà. Ripartendo da questo riscopriamo l’amore del prossimo cominciando dall’amore verso noi stessi»
Lei scrive che l’offerta di servizio del Vangelo «è una minima idea di liberazione». La teologia della liberazione 'funziona' in Sudamerica; nel Belgio scristianizzato dove lei abita di quale liberazione si tratta?
Per me i temi essenziali del Vangelo sono l’amore e la libertà (intendendo il Vangelo come l’insieme degli scritti neotestamentari, in questo caso le lettere paoline). Paolo ai Galati chiama i cristiani alla libertà perfetta, che è quella interiore. Che significa, in fin dei conti, sentirsi completamente accolti dall’amore di Gesù. La libertà che dobbiamo perseguire è la libertà dello Spirito, una libertà che trovo entusiasmante. Noi, uomini e donne, non dovremmo obbedire a nient’altro che a questa libertà.
«L’individuo dimentica che l’impossibile può significare il più che possibile». Quale è l’impossibile annunciabile cristianamente oggi?
Credo che sia centrale presentare un nuovo rapporto con il tempo. Nell’ambiente culturale francofono va molto di moda la collapsologie (vedi i libri dell’ex ministro Yves Cochet, ndr), ovvero il senso continuo della catastrofe imminente. Qualunque cosa facciamo di fronte alle crisi che stiamo attraversando (sociale, climatica, migratoria...) saremmo comunque in ritardo. Incontriamo spesso questo fatalismo che chiude l’orizzonte a ogni speranza. Che invece è apertura al possibile anche quando vediamo andar male le cose. Perché per Dio c’è ancora una possibilità. Il mio amato Kierkegaard diceva che Dio è colui per cui le cose restano possibili. La storia non è finita, è da scrivere. Riprendendo Nietzsche, possiamo mettere nella storia un plus d’umanità, la vita dello spirito, qualcosa che resta ancora da scoprire. L’uomo non è arrivato alla sua perfezione, anzi: ci stiamo rendendo conto che esistono forze che spingono l’umanità verso il non umano. Il cristiano può annunciare questa 'sovraumanità' possibile, non certo come il superomismo nietzschiano, ma come quel Cristo Figlio di Dio che ci ha donato una sovrabbondanza di umanità che può sorgere ancora una volta nella nostra storia.
Lei afferma che Dio «non è una ragione superlativa». Papa Francesco ci ha insegnato, e continua a insegnarci, che Dio è essenzialmente misericordia. Come parlare di Dio all’Occidente disincantato?
A mio giudizio ci sono delle parole del Vangelo che devono ancora essere ascoltate pienamente. Del resto per Paolo il Vangelo resta una sorta di follia, qualcosa che deve ancora essere udito. La fede cristiana non è una dottrina inquadrabile in assunti razionali. In questa 'cerniera' storica che stiamo vivendo anche a causa del Covid, il cristianesimo sta morendo perché è stato fin troppo 'ascoltato' ed è diventato un insieme di valori umanisti e un catechismo ingenuo, roba da bambini. Il compito che ci aspetta, invece, è far intendere quello che non è stato ancora inteso. Ci è stato insegnato un Dio come essere, invece Dio è una vita. Resto sempre affascinato dal prologo della prima lettera di Giovanni, dove si parla di quel che «abbiamo visto e toccato». Per i nostri contemporanei, forse, annunciare un Dio Padre, misericordioso, provvidente, non parla come invece può farlo dichiarazione che egli è colui che dà la vita, la vita spirituale, quella che fa la differenza, la vita qualitativa. Mi piace pensare al cristianesimo come una continua conversione alla vita. Questo, secondo me, può diventare un discorso nuovo e sovversivo.
«Nel nostro tempo segnato dal Covid il cristianesimo sta morendo perché è stato fin troppo 'ascoltato', è diventato un insieme di valori umanisti e un catechismo da bambini»
Lei cita la sociologa francese Hervie- Lèger, di cui è celebre la definizione di 'esculturazione' del Vangelo dal tempo attuale. Lei parla di quegli ex cristiani che hanno lasciato la fede perché «non avevamo più niente da dirci ». Nel panorama culturale europeo, il cristianesimo resta afono o torna a dire qualcosa di significativo?
Almeno in Francia e in Belgio, i paesi dove abito e che frequento, sempre meno persone si mettono in ascolto del Vangelo. Però a livello culturale esiste un’apertura e una considerazione sorprendente. Nel mio libro faccio riferimento a François Jullien, autore di un libro ( Risorse del cristianesimo. Ma senza passare per la via della fede, Ponte alle grazie, ndr) interessante, perché considera il cristianesimo qualcosa di importante da ascoltare per vivere la vita.
Lei scrive: «L’amore vero, il solo che dà la gioia di vivere, è amore del non amabile». Dov’è oggi il non amabile nella nostra società occidentale?
Sfortunatamente ci sono sempre più persone che non vengono amate, a causa di un irrigidimento delle identità rispetto a tutto quanto è 'altro' (pensiero agli stranieri e ai migranti). Sotto le mascherine ci stiamo confinando sempre di più dentro noi stessi. Il cuore del Vangelo, invece, è l’amore del nemico. Nietzsche lo aveva ben capito. Ma al contempo non dobbiamo dimenticare che l’imperativo di Gesù parla anche di noi: «Amare gli altri come amiamo noi stessi». Di questo 'noi stessi' ci siamo un po’ dimenticati. Non sto parlando ovviamente di una forma accettabile di narcisismo, ma di un sentirsi giustificati per quello che siamo: un sentimento che sarebbe anche molto moderno. L’amore di sé allora può estendersi a quel primo 'prossimo' che siamo noi stessi, a volta poco amabili, e poi raggiungere anche altre categorie di persone. In questo senso la comunità diventa un’estensione del saperci amare noi stessi.
Alla domanda essenziale «cosa è il Vangelo?», lei risponde con una definizione poco ecclesiastica: «La comunicazione della gioia di esistere». Nietzsche potrebbe definirla una definizione umana, 'troppo umana'...
È un rimprovero che mi fanno in molti. Però io penso che la visione del cristianesimo come trascendenza abbia fatto il suo tempo e non dica più granché. Il cristianesimo è comunicazione della vita di Dio per le sue creature. Dobbiamo ricordarci che Dio si è comunicato all’uomo, che il Vangelo è per gli esseri umani, non per gli angeli o le pietre. C’è una follia dell’amore che è la grazia di esistere. Possiamo leggere tutti i filosofi che vogliamo, Socrate, Platone, Aristotele fino a Hegel, ma non troviamo la forza della comunicazione della vita che il Vangelo possiede. La sua resta ancora la miglior notizia che possiamo ascoltare.