domenica 10 settembre 2017
Per la studiosa inglese Kate Raworth «l’attuale visione meccanicistica non funziona: la sfida è conciliare i bisogni di tutti con le risorse limitate del pianeta». E la metafora aiuta a capire
Kate Raworth: «L'economia è come una ciambella». E ha il buco
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L’economia non è cattiva, è che la disegnano così: diagrammi di crescita che puntano inesorabili verso l’alto, curve a campana che danno per inevitabile la povertà, vasi comunicanti dal funzionamento intermittente. E se adoperassimo un’altra immagine? Una ciambella, per esempio. Il margine interno indica l’abisso di indigenza nel quale nessuno dovrebbe precipitare, il margine esterno segna il massimo limite tollerabile dell’impatto ambientale. Quel che si può fare, si fa entro questi confini. L’economia della Ciambella (traduzione di Erminio Cella, Edizioni Ambiente, pagine 304, euro 22,00) è il titolo del libro che la studiosa inglese Kate Raworth presenta oggi alle 10.00 al Festivaletteratura di Mantova insieme con Leonardo Becchetti presso la Basilica Palatina di Santa Barbara. Docente a Oxford, l’autrice ha alle spalle una lunga esperienza nelle organizzazioni umanitarie ed è proprio dal lavoro sul campo che è nata l’idea di ridisegnare i processi decisionali dell’economia. «La visione meccanicistica ancora in uso – spiega – risale agli anni Settanta dell’Ottocento, quando gli economisti cercarono di dare dignità scientifica alla disciplina ispirandosi alla fisica newtoniana: i prezzi, sostenevano, terrebbero i mercati in equilibrio esercitando una forza simile a quella di gravità».

Che cosa c’è di sbagliato?

«Il fatto che postulare una legge del genere significa rifarsi a un concetto erroneo di scienza. Molto meglio pensare all’economia come a un sistema complesso e in costante adattamento, le cui dinamiche specifiche sono sempre in evoluzione, con esiti sempre imprevedibili. L’economia va pensata come un giardino, non come una macchina».

Una questione di immagini?

«È la realtà, in quanto complessa, a evocare metafore e modelli che ci aiutino a interpretarla. La Ciambella per me è uno strumento con cui misurare lo sviluppo del progresso nel XXI secolo, accogliendo la sfida di conciliare i bisogni di tutti con le risorse del pianeta. Miliardi di persone sono prive dei beni essenziali e, nonostante questo, la pressione ecologica ha raggiunto livelli insostenibili».

Come mai, allora, la logica del profitto è ancora dominante?

«Nell’ultimo mezzo secolo ha goduto di grande popolarità la presunta legge economica, del tutto falsa, secondo la quale per ottenere più ricchezza sarebbe necessario un incremento della diseguaglianza: a pareggiare la situazione dovrebbe poi provvedere la stessa crescita economica. Ma questo non corrisponde alla realtà. Negli ultimi trent’anni molti dei Paesi aderenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico hanno conosciuto picchi altissimi di diseguaglianza reddituale. Non si tratta di una fase di sviluppo economico, ma di una precisa, pessima scelta politica. La mia convinzione è che sia venuto il momento di concepire un sistema autenticamente redistributivo, attraverso il quale condividere equamente i profitti con quanti hanno contribuito a realizzarli. Chi sono i proprietari dei terreni e delle abitazioni? Un’impresa appartiene ai suoi dipendenti o a qualche remoto azionista? Chi è che crea il denaro: le banche di commercio, lo Stato o la popolazione? E le idee che guideranno le tecnologie del futuro sono appannaggio di un’élite industriale o di una comunità aperta di innovatori? In questo momento gli imprenditori più illuminati stanno già mettendo in pratica soluzioni alternative, con conseguenze molto concrete».

Allude alla cosiddetta Green Economy?

«Fin dall’antica Grecia “economia” significa letteralmente “gestione della casa”. Viviamo nell’epoca della convivenza planetaria, motivo per cui ogni pensiero economico non può prescindere dalla comprensione del contesto ambientale dal quale dipendiamo per l’approvvigionamento di materie prime ed energia, ma anche di una casa comune stabile e re- siliente. Gli economisti tradizionali continuano a ritenere che sia sufficiente ragionare in termini di “ricadute ambientali”, un’espressione che da sola basta a far intuire quanta poca importanza si dia alla questione».

Quali sono le principali caratteristiche della sua proposta?

«Ci troviamo in un contesto economico globale non solo distruttivo nei confronti dell’ambiente, ma anche profondamente conflittuale, con l’1% della popolazione mondiale che detiene la quota più ampia di risorse disponibili. La Ciambella si propone di invertire il processo. In primo luogo, c’è da ripensare un’economia che sia generativa e rigenerativa fin dalle sue premesse, capace di interagire con l’ambiente anziché sfruttarlo: un’economia circolare, insomma. In seconda battuta, serve un’economica distributiva fin dalle sue premesse, come abbiamo appena detto. Sono due principi che procedono appaiati e che non possono mai essere scissi. È un’alleanza ormai ritenuta indispensabile da numerosi attori del nuovo spazio economico, in sede sia di imprese sia di movimenti. Di fatto, si sta già manifestando un insieme di iniziative in grado di produrre massa critica».

Possiamo tornare a fidarci della finanza?

«A dieci anni di distanza dall’inizio della crisi globale, e in vista della prossima da qui a qualche anno, la domanda è più urgente che mai. Il sistema finanziario è stato riformato in modo molto superficiale, così da garantire la sua mera stabilità, senza alcuna preoccupazione nei riguardi dell’economia reale e della vita stessa. La visione neoliberista, dominante negli ultimi trent’anni, ci suggeriva di lasciar fare ai mercati. I risultati sarebbero arrivati, presto o tardi. Adesso, al contrario, occorre rifondare il sistema finanziario, creando nuove istituzioni che abbiano come obiettivo investimenti strutturali a lungo termine eticamente sostenibili».

Le sue convinzioni devono qualcosa alla sua esperienza di madre?

«Certo che sì. Quando sono nati i miei gemelli ho lasciato per un anno il mio posto a Oxfam per lavorare a tempo pieno nell’economia domestica non retribuita. Mio marito e io ci siamo trovati a disporre di un reddito dimezzato come dimezzate erano le nostre ore di sonno, mentre l’impegno in casa risultava più che raddoppiato. Ed è stato allora che ho toccato con mano l’importanza delle politiche di genere nell’economia della cura. Allo stesso modo mi sono resa conto di quale sia l’autentico valore dei sussidi statali per i genitori, attraverso i congedi parentali e i servizi di assistenza per l’infanzia. Ho scoperto una rete di aiuto reciproco della quale non c’è traccia nelle statistiche sul Pil. A tutto questo si è aggiunta la mia convinzione che, nel passaggio dall’economia domestica a quella planetaria, si debba ripensare il significato del lavoro e di tutto ciò che contribuisce al benessere umano. Abbiamo bisogno di un’economia nella quale ciascuno di noi possa prosperare».

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