Il primo ricordo che Riccardo Chailly ha della
Turandot di Giacomo Puccini è quello di «un ragazzino stordito, quasi ipnotizzato dalla bellezza della musica». Il direttore d’orchestra milanese domani sarà sul podio del Teatro alla Scala per il titolo che inaugura la stagione dell’Expo. «
Turandot appartiene a questo teatro, fu qui, il 25 aprile del 1926, che Toscanini la diresse per la prima volta a due anni dalla scomparsa del compositore. Metterla in scena per l’apertura dell’evento che porterà a Milano tutto il mondo significa guardare avanti tenendo presenti le nostre radici. Per noi milanesi il fatto che l’Expo sia a Milano è un motivo di orgoglio perché offre alla città una visibilità straordinaria. E per questo ognuno deve dare il meglio di sé: io lo faccio con la musica» riflette il direttore principale della Scala, dal 2017 nuovo direttore musicale del Piermarini.Regia, nata ad Amsterdam nel 2002, di Nikolaus Lehnhoff. Nina Stemme nel ruolo della principessa di ghiaccio. Scala blindata per far fronte alle proteste di piazza. Occhi del mondo puntati sul teatro. Ma Chailly torna alla sua infanzia. «Avevo dieci anni quando ho cercato nella collezione di mio padre e ho ascoltato in disco un’incisione di
Turandot del 1937 con Gina Cigna diretta da Franco Ghione. Quel giorno sono entrato in contatto con un mondo sonoro che non pensavo potesse esistere. Vissi un’esperienza strana per un ragazzino: non mi interessava tanto la trama della fiaba di Gozzi, ma la bellezza della musica, capace di trasmettere inquietudine». Un’inquietudine che per il direttore d’orchestra percorre tutta la partitura di Puccini. «E che ha affascinato Luciano Berio il quale ha accettato di scrivere un nuovo finale dell’opera». Alla Scala, infatti, l’opera che Puccini lasciò incompiuta va in scena non con il finale commissionato a Franco Alfano da Toscanini, ma con la versione approntata da Berio e andata in scena nel 2002 ad Amsterdam proprio con la bacchetta di Chailly: dopo averla diretta in forma di concerto proprio alla Scala, il direttore la porta ora per la prima volta in forma scenica in Italia.Dopo la morte di Liù, il punto dove Puccini si fermò, un intervento dell’arpa segnala il cambio di registro. Da lì alla fine dell’opera ci sono 307 battute: 133 prese dagli schizzi di Puccini e riorchestrate e 174 composte liberamente da Berio. «Non mi voglio travestire da Puccini aveva detto Berio» ricorda oggi Chailly andando con la mente alle prove ad Amsterdam: «Furono giorni di grande travaglio tanto che Berio fece ben 130 correzioni alla partitura».
Turandot nelle intenzioni di Puccini doveva avere tutt’altro che un esito trionfale perché il coronamento della storia d’amore tra Turandot e Calaf arriva solo a costo del sacrificio di Liù. «Lehnhoff, per rispettare una precisa volontà di Berio, lascia in scena il cadavere di Liù durante il duetto d’amore. Costruisce uno spettacolo che sembra ambientato in un carcere. E anche Turandot è come se fosse imprigionata in un costume che ricorda un insetto. Solo alla fine Calaf glielo strapperà e allora anche le porte del palazzo si apriranno e inonderanno di luce la platea».Al pubblico, quello che sarà in sala, ma anche a quello che seguirà l’opera in diretta su Rai 5, Chailly consiglia di «lasciarsi trascinare dalle onde della musica perché in Puccini viene prima il cuore, il filtro del cervello e della ragione arriva solo in un secondo tempo». Anche in Berio. Sedici minuti di musica, quelli del suo finale, «difficile da eseguire sia per il direttore che per i cantanti, difficile da comprendere, forse, per il pubblico perché non ha quella serenità e quel trionfalismo che ci si aspetterebbe nel lieto fine di una favola. Nessuno sa come avrebbe concluso Puccini».Un autore del quale per Chailly «c’è ancora molto da conoscere. C’è una prima versione di
Manon Lescaut che Toscanini diresse a Torino. Anche
Fanciulla del West così come la conosciamo oggi è diversa dalla versione andata in scena nel 1910 al Metropolitan. C’è poi
Edgard con il ritrovato quarto atto. Senza inflazionare le stagioni di Puccini mi piacerebbe proporre l’integrale dei suoi 12 capolavori» dice Chailly annunciando che
Turandot avvierà un percorso che, oltre alla messinscena dei capolavori del musicista toscano, prevederà la ripresa e l’uscita di una collana di dvd con il marchio Scala-Puccini. Per intanto guarda al 7 dicembre: «Dirigerò Verdi riportando alla Scala dopo 140 anni la sua
Giovanna d’Arco».