mercoledì 6 luglio 2016
Cavani a teatro, debutto con Eduardo
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«I o non ho mai fatto della prosa, ma ho accettato perché Filumena Marturanoè un testo bellissimo. Conoscevo Eduardo e amavo il suo teatro, non potevo dire di no a Spoleto». Liliana Cavani, pantaloni sportivi e aria da eterna ragazza, raccoglie gli applausi calorosi del pubblico che le dedica una standing ovation al Teatro Menotti. Ha convinto tutti, pubblico e critica, lo scorso weekend, la sua Filumena Marturano, l’opera per eccellenza di Eduardo, con cui la regista ha debuttato nella prosa al 59° Festival dei due Mondi di Spoleto che si chiude l’8 luglio. Lo spettacolo, il 18 ottobre, aprirà la stagione del Quirino di Roma.  Un sfida superata dalla regista di Francesco e del Portiere di notte, che, da donna asciutta e pratica, ha puntato dritto sull’obiettivo senza strafare, affrontando uno dei testi più amati e conosciuti del teatro italiano con pulizia, mettendosi totalmente al servizio del testo. «Io ho visto molti lavori con la regia di De Filippo, ma non Filumena Marturano », quindi non ho punti di riferimento - spiega ad “Avvenire” –. Come l’ho affrontato? Cercando di non disperdere l’azione in orpelli, realismi e futurismi. Emerge una visione razionale e diretta. A Filumena basta volere bene». Una visione supportata in modo robusto da uno staff partenopeo di ex collaboratori di Eduardo. A partire dal veterano Geppy Gleijeses, che produce lo spettacolo col suo Gitiesse Artisti Riuniti oltre a interpretare il ruolo di un testardo, ma alla fine umanissimo, Domenico Soriano che gli calza a pennello: a soli 20 anni era così apprezzato da Eduardo che il maestro revocò il veto di rappresentare le sue opere e gli concesse di dirigerne due. E proprio diretta da Eduardo, nella compagnia di Luca De Filippo, esordì a teatro la napoletana Mariangela D’Abbraccio, interprete di grande carattere che nella sua ruggente Filumena segue alla lettera le indicazioni scritte del maestro, assumendo sin dalla prima battuta l’«atteggiamento di belva ferita, pronta a spiccare il salto sull’avversario ». Tutto è credibile, a partire dall’impianto visivo, un salotto borghese con mobili autentici anni Quaranta e abiti in tono con la buona borghesia napoletana, curati dalla grande costumista e art director Raimonda Gaetani, storica collaboratrice di Eduardo De Filippo. Una bella foto in bianco e nero anni Settanta, ritrae una giovane e sorridente Liliana Cavani, abbracciata dal maestro ormai anziano. «Avevamo in comune un agente – spiega la regista oggi ottantaduenne –. Qualche volta era capitato di cenare insieme. Eduardo era un uomo molto intelligente, molto sensibile, che aveva anche sofferto. Ma questa sua intima malinconia, la esprimeva attraverso il teatro. Lui era un uomo-teatro. Dal teatro traeva lo scopo della sua vita perché raccontava il mondo così come lo vedeva, come lo pensava». E il mondo che E- duardo vede, e racconta, in questo testo del 1946 è quello dell’Italia (e di una Napoli) ferita dalla guerra, fatta di povertà, di bassi stipati di scugnizzi, di fame e di voglia di riscatto, incarnata fisicamente nella bellezza violata di Filumena, che ci lascia ammutoliti quando racconta con pudore la sua disperata discesa, da adolescente, nel degrado della prostituzione. Un’Italia magistralmente rappresentata da Eduardo fra lacrime e sorrisi, autentico neorealismo teatrale parallelo a quello cinematografico del Paisà di Rossellini. La versione della Cavani riporta con i piedi per terra. «Di Eduardo amo molto il racconto delle vite e degli ambienti reali della sua Napoli – aggiunge la regista –. Sapeva raccontare la vita. Non era un intellettuale, però era molto più sapiente degli intellettuali». Ed era capace di affrontare temi scomodi, nell’Italia di allora. Dopo 25 anni di convivenza col superficiale viveurDomenico Soriano, un ricco pasticciere per cui ha lavorato come una serva contribuendone al benessere, Filumena si finge in punto di morte per farsi sposare. Ma non rivendica nulla per sé, bensì il riconoscimento per i tre figli segreti e cresciuti a balia, che lei non ha voluto accidere quando era una prostituta. E grande e robusta è l’interpretazione della D’Abbraccio, mattatrice all’altezza delle Filumene precedenti, Titina De Filippo, Regina Bianchi, Pupella Maggio, Sophia Loren, Valeria Moriconi, Isa Danieli, Lina Sastri e Mariangela Melato. Lei lotta nel nome della verità, striglia con forza l’inetto amante ed è capace di commuovere nello splendido dialogo con la Madonna delle Rose davanti alla quale giura di non abortire mai. «È un testo profondamente etico, più etico delle leggi che vigevano allora – aggiunge la Cavani –. E Filumena Marturano è il primo grande ruolo femminile in assoluto del teatro moderno, non solo partenopeo. Un personaggio forte, particolare, è l’opposto di Medea che i figli invece li uccide per vendetta. Filumena è l’anti Medea oltre a essere una figura spontaneamente morale, più dei moralisti». E quella frase finale «E figlie so’ ffiglie... E so’ tutte eguale...» è un manifesto politico nei confronti di una legge che, fino a poco fa, faceva differenza tra figli legittimi e non. «Eduardo è stato molto coraggioso, molto profondo nell’affrontare questo tema – aggiunge la regista –. I suoi personaggi sono visti da dentro, come li vivesse tutti e due, Filomena e Domenico». Infatti, messo di fronte ai tre ragazzi di cui solo uno è figlio suo, il recalcitrante Domenico subisce un lento processo di maturazione, si arrende all’evidenza del tempo che passa, comprende il valore della donna. E la sposerà, questa volta per amore suo e della famiglia.
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