martedì 20 giugno 2017
Alla vigilia dell'ascesa di Hitler lo scrittore parla del poeta su fede e politica in tre saggi ripubblicati da Medusa. «Si dovrebbe diventare cattolici per partecipare all’esistenza degli uomini»
Mann racconta Goethe: «Ammirato dal cattolicesimo»
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Goethe impolitico. Tre saggi (Medusa, pagine 138, euro 16, prefazione di Riccardo De Benedetti) raccoglie alcuni dei più interessanti saggi di Thomas Mann dedicati a Goethe. Un anno prima della presa del potere nazista e subito dopo la catastrofe della guerra. In "Goethe e la democrazia", da cui sono tratti i brani citati, pronunciato in occasione del bicentenario della nascita del grande poeta tedesco, il discorso si apre, sorprendentemente, sui rapporti tra cristianesimo protestante, democrazia e cattolicesimo.


L’imitazione di Goethe, il professarsene seguaci, non significa nonostante le apparenze “provincialismo tedesco” – e in genere posso dire che se ho scritto molto sui tedeschi e poco sugli stranieri, nondimeno ho sempre cercato l’Europa nei tedeschi, insoddisfatto se non la trovavo. Non è casuale che le figure tedesche da me scelte come guide e maestri, gli Schopenhauer, i Nietzsche, i Wagner, e in anni più tardi, primo fra tutti Goethe, abbiano un’impronta piu fortemente europea che tedesca. Era l’elemento europeo dentro il tedesco che io sentivo in loro: una Germania europea che aveva sempre costituito il fine dei miei desideri e dei miei bisogni, molto in contrasto con l’“Europa tedesca”, questa aspirazione terrificante del nazionalismo germanico che per me era stato sempre un orrore e mi costrinse ad abbandonare la Germania.

Non c’è bisogno di dire che su queste due concezioni si fonda la distinzione che il mondo usa fare tra due Germanie, quella “buona” e quella “cattiva”. La Germania europea è nello stesso tempo la Germania democratica, prendendo questa parola nel suo più vasto significato, la Germania con cui si può vivere, che non ispira al mondo paura ma simpatia, in quanto partecipa alla religione democratica dell’umanità. Ed è questa religione che in sostanza ha plasmato la vita morale dell’Occidente, così che dicendo “civiltà” è a questa religione che intendiamo riferirci [...]. Ma il cristianesimo è la democrazia come religione, e a sua volta si può dire che la democrazia è l’espressione politica del cristianesimo. Goethe interpreta il senso rivoluzionario del cristianesimo nelle parole: «Il cristianesimo è una rivoluzione con fini politici, che, fallita, è divenuta rivoluzione morale». Non dice niente però del rapporto personale di Goethe col cristianesimo. Ma bisogna insistere: qual era questo rapporto? Quale in genere il suo atteggiamento verso la fede, la religiosità?

[...] Ha fiducia nella benevolenza superiore anche quando, e proprio quando, egli non rende la sua vita più comoda rifugiandosi nel porto sicuro di una fede, ma fa del suo meglio in una libertà indifesa, agendo da sé, di propria iniziativa. La poesia ha un accento protestante, e si potrebbe pensare che oggi siano appunto l’indole e l’educazione protestanti che impediscono ad alcuni di trovare sicuro rifugio nel credo comunista. Ma la cosa abbastanza strana è che Goethe all’occasione presenta il protestantesimo come una specie di conciliazione fra il primitivo paganesimo e aristocratismo germanico e il cristianesimo [...]. È veramente come se dicesse che protestantesimo è adattamento del cristianesimo al paganesimo germanico, paganesimo di cui tanta parte era ancora viva in Goethe e di cui egli non ha mancato di darci testimonianze aperte e provocatorie. Tutti le abbiamo nell’orecchio. Egli si è detto un “deciso anticristiano”, ha dimostrato la sua antipatia per la “croce”, non ha sentito come sue l’umiltà e la pazienza [...]. Molto bene; questo è Goethe, l’aristocratico. Ma è a priori impensabile che la più profonda delle rivoluzioni o meglio delle mutazioni subite dalla coscienza e dai sentimenti umani non avesse influito fortemente a formare il suo spirito. Per lo meno egli deve aver pensato come Lichtenberg, il quale, considerando che l’affermazione religiosa e della potenza moralizzatrice del cristianesimo non sarebbe più stata possibile sulla terra, concluse: «Perciò si resti nel cristianesimo».

È infatti la forza moralizzatrice del cristianesimo che egli mette in rilievo quando più tardi, in un colloquio con Eckermann, stabilirà definitivamente il suo atteggiamento rispetto alla religione. L’importante, egli dice, non è sapere se i Vangeli siano in ogni punto storicamente autentici. «In essi è presente e attivo il riflesso di una nobiltà che emanava dalla persona di Cristo, che è di un genere così divino come non mai il divino è apparso sulla terra... La cultura potrà fare progressi intellettuali sempre maggiori, le scienze crescere sempre più in estensione e profondità e lo spirito umano ampliarsi quanto vuole, ma non andrà mai oltre la nobiltà e la cultura morale del cristianesimo, come brilla e risplende nei Vangeli». La cultura morale, l’umanità, la tendenza moralizzatrice e antibarbara del cristianesimo, davanti a cui egli s’inchina, sono anche le sue e quegli omaggi derivavano indubbiamente da un sentimento di solidarietà, dall’aver intuito l’affinità della missione del cristianesimo, nell’ambito del mondo etnico-germanico, con la propria. È missione democratica nel senso più profondo, poiché la tendenza verso il basso, l’elevazione del dolore, sono innate al cristianesimo e niente può esserci di più cristiano, ma anche niente di più democratico nel senso più alto, che questo pensiero di Goethe: «Ogni soffrire ha qualcosa di divino».

Il suo cristianesimo, come elemento naturale della sua personalità, ha una tonalità protestante. Per cultura egli è protestante e, del resto, un’opera come I dolori del giovane Werther non è pensabile senza una lunga scuola di introspezione pietista. Molto giustamente Nietzsche ha posto la patria spirituale di Goethe «fra grecità e pietismo». Ma è singolare che egli nel protestantesimo, nel luteranesimo, sottolinei decisamente la tendenza democratica e nella sua critica della Chiesa cattolica e della sua gerarchia venga improvvisamente a parlare delle masse inferiori [...]. E nondimeno del suo protestantesimo non ci si può fidare completamente; è un protestantesimo che lascia talora spazio all’ammirazione per la vita cattolica, e non solo per i vantaggi estetici che essa offre, ma ancor più per le forze democratiche e sociali che vi operano. Scopre a un tratto che queste sono più forti, rendono più felici, di quelle che agiscono nella vita protestante. «Si dovrebbe diventar subito cattolici – esclama – per partecipare all’esistenza degli uomini. Mescolarsi a loro, pari a loro, una vita in piazza, in mezzo al popolo. Che gente misera, solitaria, siamo noi, nei nostri piccoli stati sovrani!».

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