domenica 4 agosto 2024
Maurizio Faggioni, docente di bioetica, medico endocrinologo, fa chiarezza su molte domande sollevate anche ideologicamente sulla pugile algerina. Con un punto fermo: il rispetto per Imane
Il saluto tra Imane Khelif (a sinistra) e Anna Luca Hamori (a destra) dopo l'incontro dei quarti di finale nel quale l'algerina ha prevalso sull'ungherese

Il saluto tra Imane Khelif (a sinistra) e Anna Luca Hamori (a destra) dopo l'incontro dei quarti di finale nel quale l'algerina ha prevalso sull'ungherese - Epa/Miguel Tona

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L’evento delle Olimpiadi è circondato da grande fascino per gli ideali che da sempre lo ispirano e che rimandano alle radici stesse della cultura occidentale nella sua dimensione più universale. Non stupisce, pertanto, che, nel contesto delle Olimpiadi, risuonino, amplificati da una potente cassa di risonanza, i problemi, le contraddizioni, le domande proprie di ogni momento storico. Il dibattito pubblico, politico e culturale sull’identità sessuale e sulle espressioni sessuali che si presentano come alternative al modello binario, quello, per intenderci, che classifica l’umanità nella dualità maschio/femmina, non poteva certo restare fuori dall’ambito dello sport agonistico. Il caso di Imane Khelif è emblematico. La nostra boxista Angela Carini aveva espresso le sue perplessità sulla rivale già alla vigilia del combattimento e, dopo neppure un minuto dall’inizio del confronto, si è ritirata dichiarando che la potenza muscolare dell’avversaria era quella tipica di un uomo e, quindi, troppo rischiosa per lei. Analoghe perplessità ha espresso, poco dopo, l’ungherese Anna Luca Hamori, sconfitta 5 a 0.

Le polemiche intorno a Imane non sono nate alle Olimpiadi, ma partono da lontano. Imane Khelif è nata in Algeria nel 1999 da un famiglia disagiata, in un ambiente culturalmente chiuso ed ha cercato nello sport un riscatto ed un’affermazione non solo personale. Ha intrapreso la carriera di pugile nel 2016 e, per potersi pagare le lezioni di boxe, vendeva il metallo raccolto nei rifiuti. Nel suo debutto internazionale ai Mondiali del 2018 si è classificata diciassettesima. Nel 2020, nelle Olimpiadi di Tokio, era arrivata ai quarti di finale, ma poi è stata sconfitta. Nel 2023, ai Mondiali di pugilato dilettanti femminili in Nuova Delhi, l’atleta fu squalificata perché, secondo l'Associazione Internazionale Boxe Amatori (IBA), gli esami medici avrebbero evidenziato un livello troppo elevato di testosterone per una donna e un assetto cromosomico maschile, caratterizzato dalla coppia dei cromosomi sessuali XY. Espulsa dai Mondiali e accusata di mentire sulla sua vera identità sessuale per poter godere di un vantaggio competitivo, Imane si è trovata al centro di una vera e propria tempesta mediatica che non accenna a spegnersi. Nonostante le polemiche e, in aperto contrasto con l’IBA, il Comitato Olimpico internazionale (CIO), ha ammesso l’atleta alle Olimpiadi di Parigi.

Ma, dal punto di vista sessuale, chi è Imane Khelif?

Si è detto che sarebbe un transgender operato, vale a dire un soggetto nato maschio che, per una discrepanza insanabile fra sesso corporeo, normalmente sviluppato in senso maschile, e una identità di genere femminile, si è sottoposto a un intervento di “cambio di sesso” che comporta, fra l’altro, la castrazione. Nonostante la castrazione e la conseguente caduta degli ormoni maschili, se l’intervento viene eseguito dopo il completamento dello sviluppo puberale, la struttura corporea per quanto riguarda masse muscolari, densità delle ossa, la capacità polmonare e cardiaca, resta a lungo quella antecedenti l’intervento. È il caso di Lia Thomas che, nato maschio ad Austin in Texas, nel 1999, dope aver praticato nuoto a livello agonistico come Will senza grandi risultati, verso i diciannove anni ha manifestato il suo bisogno di adeguare il sesso corporeo alla sua identità psicologica che affermava essere femminile. Dopo l’intervento Lia, forte della nuova identità anagrafica, ha cominciato a gareggiare con le donne con prestazioni atletiche clamorosamente superiori alle altre concorrenti. Il 20 giugno 2024, nell’imminenza delle Olimpiadi, è entrato in vigore un regolamento della Federazione internazionale di nuoto (FINA) che restringe drasticamente la possibilità di gareggiare con donne che sono tali dalla nascita per le atlete transgender che hanno subito interventi di correzione del sesso fisico da maschio a femmina, nell’idea che “il sesso biologico è un determinante chiave delle prestazioni atletiche”.

Non è questo il caso di Imane i cui livelli di androgeni – si dice - sono elevati. Non abbiamo, al momento, informazioni precise sulla sua condizione sessuale che, per essere adeguatamente definita, richiederebbe accurati esami dal punto di vista genetico, gonadico, ormonale, genitale. Qualcuno ha affermato che Imane sarebbe una persona intersessuale, qualcun altro che si tratterebbe di donna, ma con una produzione di androgeni superiore alla media.

Con il termine intersessualità si fa riferimento ad un gruppo di patologie molto eterogenee caratterizzate da uno sviluppo dei caratteri sessuali che si presenta più o meno difforme rispetto al sesso genetico e gonadico. Esistono, per esempio, soggetti con cromosomi sessuali maschili, XY, e gonadi maschili, che hanno un difetto dell’enzima 5 alfa reduttasi, implicato nel metabolismo del testosterone, per cui alla nascita i genitali esterni si presentano ambigui o francamente femminili e la persona è allevata come femmina e sviluppa congruentemente una identità di genere femminile. Il fiume di testosterone della pubertà determina una virilizzazione marcata con ridefinizione dei genitali in senso maschile, cambio del tono della voce, aumento delle masse muscolari e, in molti di essi, ma non tutti, un viraggio della identità di genere da femminile in maschile.

Qualcuno ha parlato, per Imane, di un eccesso di androgeni, ormoni tipicamente maschili, in un soggetto biologicamente femminile. Anche nell’organismo femminile ci sono androgeni, responsabili di importanti funzioni fisiologiche, ma i livelli normali, per esempio, di testosterone nel sangue sono abissalmente diversi nella femmina e nel maschio. Nelle donne dell’età di Imane, il testosterone va da 0,38 a 2,5 nanomoli/l, mentre nel maschio della stessa età i livelli normali sono superiori a 11 nanomoli/l. Il caso più frequente di alti livelli di androgeni nella donna, soprattutto testosterone e androstenedione, è costituito dalla sindrome dell’ovaio policistico nella quale si possono riscontrare irregolarità mestruali, irsutismo, diradamento dei capelli, aumento delle masse muscolari. Un’altra causa, molto più rara, di aumento degli androgeni in un soggetto femminile dal punto di genetico e gonadico può essere l’iperplasia surrenale congenita. In essa un difetto nel metabolismo del cortisolo porta ad un aumento degli androgeni di origine surrenalica con virilizzazione più o meno accentuata che inizia fin dalla vita fetale. L’iperplasia surrenale congenita viene ascritta nel gruppo degli stati intersessuali a motivo dell’ambiguità dei genitali e delle strutture corporee.

Se Imane fosse una donna dal punto di vista genetico e gonadico, con tutti gli organi interni di tipo femminile, ma con un livello di androgeni naturalmente più elevato rispetto alla maggioranza delle donne, si potrebbe giustificare una sua esclusione dalle gare destinate alle sole atlete donne? Ci sono dei precedenti clamorosi. Dopo polemiche e dubbi sul sesso di Mokgadi Caster Semenya, mezzofondista del Sud Africa, la Federazione internazionale dell'atletica leggera (IAFF) come condizione di inclusione nelle competizioni, impose a tutte le atlete che avessero il testosterone oltre 5 nanomoli/l (il doppio, quindi, del limite massimo per la donna normale) di ridurlo attraverso uno specifico trattamento farmacologico. Ci si chiede se è giusto imporre un tale trattamento medico come condizione di ammissione ad una gara sportiva, dal momento che l’iperandrogenismo non risulta da un doping illecito con steroidi anabolizzanti, ma è conseguenza di un metabolismo ormonale spontaneo. Il cuore della discussione sta in una regola fondamentale nelle competizioni sportive, quella dell’equità, per cui si ritiene sleale mettere a confronto due atleti con potenzialità fisiche radicalmente diseguali. La separazione di uomini e di donne nella maggior parte delle competizioni tiene conto, appunto, della diversa struttura corporea di uomini e di donne. Qui non stiamo discutendo né dell’identità di genere, né dell’orientamento sessuale degli atleti, ma dei loro corpi che si confrontano nelle gare come esaltazione della prestanza e della bellezza del corpo.

Chi chiede di escludere Imane dai Giochi si fonda sulla persuasione che una donna che presenta marcato iperandrogenismo avrebbe un vantaggio sleale sulle donne il cui livello di androgeni è decisamente inferiore. Non è un argomento insensato, ma, ferma restando la regola dell’equità, ci chiediamo se, in generale, debbano essere esclusi dal gareggiare soggetti naturalmente dotati di qualità fisiche fuori del comune, qualità che, insieme alla preparazione atletica, ne fanno fuoriclasse nelle loro discipline. Merita ricordare, a questo proposito, la figura di Michael Phelps, grande nuotatore statunitense, nato nel1985, alto 193 cm, con apertura di braccia di 2 metri e – particolare non secondario – avvantaggiato dal punto di vista metabolico perché negli sforzi i suoi muscoli producevano circa la metà di acido lattico rispetto alla norma. Ha vinto 23 medaglie d’oro alle Olimpiadi e non ci sono state polemiche perché Madre Natura è stata benevola con lui.

La vicenda di Imane è complessa e merita una seria e pacata riflessione. L’impressione è che in questa storia ci siano stati poca trasparenza, tanti equivoci, conflitti di potere irrisolti tra il CIO e alcune federazioni atletiche, interessi estranei al fatto sportivo, strumentalizzazioni ideologiche di opposta tendenza. Non conoscendo con precisione tutti gli elementi dal punto di vista medico e avendo solo informazioni frammentarie e difficilmente controllabili, non sarebbe saggio trarre conclusioni affrettate e riteniamo doveroso lasciare il tempo per valutazioni più informate e più ponderate, ma deve, comunque, restare fin d’ora il rispetto per Imane, per la sua persona, il suo desiderio di emancipazione e di riscatto sociale.


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